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Ancora insidie tra gli alti rendimenti

di Marco Liera

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1 NOVEMBRE 2008

Il concetto di rischio non è argomento di studi diffuso nelle scuole e università italiane. Ed è un peccato perché, volendo, può diventare affascinante anche per un Paese con solide radici classiche come il nostro. Nella sua essenza, lo studio del rischio è una scienza con forti tratti umanisti, perché ha molto a che fare con i limiti della nostra esistenza terrena e della nostra conoscenza, quindi con la filosofia, la psicologia e l'epistemologia. Poi, è chiaro, è una materia che ha modalità di indagine matematiche, e che trova nei mercati finanziari una delle sue principali aree di applicazione.

Ma per comprendere il rischio non è necessario essere dei professori di statistica. È invece indispensabile essere dotati di una mente aperta a ogni esito possibile rispetto a una data azione o decisione. Allo scopo, occorre re-interpretare il concetto di certezza o di sicurezza, restringendone l'ambito di utilizzo e comunque mettendolo sistematicamente alla prova del dubbio. Che dire invece di quanto accade nella individuazione del rischio connesso alle scelte di investimento dei risparmiatori? Questa definizione nasce per lo più dall'interazione tra l'investitore e la sua banca. Al di là della misurazione della tolleranza al rischio individuale (che già richiede molto di più di quattro crocette su un questionario imposto dalla legge), una serie di fattori riduce a una scorciatoia euristica la definizione del rischio di uno strumento finanziario (come un'obbligazione). Questi fattori sono da ritrovarsi tra la mancanza di tempo, di adeguata formazione, di incentivi economici a fornire un servizio di qualità e nella presenza di conflitti di interesse in capo al personale bancario. E nella mancanza di conoscenze adeguate in capo ai risparmiatori. Sicchè, nella prassi, si condivide la scelta dei titoli in cui investire sulla base di descrizioni del rischio rapide e immediate (il rating, la presenza o meno nella lista Patti Chiari) piuttosto che da una analisi dello strumento e delle alternative.

Le agenzie di rating sono state messe in discussione dalla grande crisi dei mercati. E una riforma radicale della loro attività è alle porte. Il Consorzio Patti Chiari ha annunciato il varo di un nuovo sistema di misurazione del rischio degli strumenti finanziari. Tutto questo va accolto con favore. Ma gli effetti saranno limitati se l'interazione tra cliente e banca continuerà a essere un'euristica basata su un rapporto causa-effetto intuitivo e superficiale. Le avvertenze d'uso e gli esoneri di responsabilità con i quali i produttori di queste informazioni accompagnano le loro forniture
servono a ben poco se non vengono letti e tenuti presenti.

L'alternativa a un utilizzo distorto e inefficace di questi strumenti informativi è la restrizione della gamma di obbligazioni «sicure», e quindi acquistabili anche da una vedova 80enne (per esempio limitandosi ai titoli di Stato). Ma ciò escluderebbe le obbligazioni bancarie e quindi difficilmente verrebbe adottata agli sportelli. Certo, i bond bancari ora sono teoricamente coperti dalla determinazione governativa a salvare ogni istituto in difficoltà. Il mercato non ne è ancora del tutto convinto, visto che i bond bancari rendono il 2/3% in più rispetto ai BTp. E le frontiere del rischio si spostano sempre più in là: i BTp hanno un rating che equivale a zero probabilità di insolvenza da qui a 10 anni. Rendono però l'1% in più dei bund tedeschi e i credit default swap scontano una probabilità di insolvenza del 10% da qui a cinque anni. Eccessi e abbagli del mercato, quasi certamente. Ma solo «quasi».
marco.liera@ilsole24ore.com

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