Il diario della crisi registra in questo inizio 2009 un andamento divergente tra le quotazioni delle azioni delle banche, in picchiata, e quello delle loro obbligazioni, che dimostrano una maggiore tenuta. Nella precedente escalation di sfiducia, quella dell'ottobre 2008, anche i bond emessi dalle banche avevano sofferto molto, con le quotazioni di alcuni prestiti senior di istituti europei sprofondate al di sotto di 80. Molto probabilmente, il mercato sconta ora assai meno l'ipotesi di insolvenza delle banche, grazie soprattutto alle rassicurazioni e ai provvedimenti governativi che mirano a fornire una protezione pubblica nei casi di estrema difficoltà. Di fatto, in vari Paesi europei i bond bancari ora presentano gli stessi rischi di default dei titoli di Stato domestici. Tuttavia, resta ancora uno spread (differenziale di rendimento) piuttosto ampio rispetto ai titoli pubblici, spiegabile in parte con la minore liquidità che caratterizza gli scambi su queste emissioni rispetto a quelli sui titoli di Stato.
L e quotazioni delle azioni bancarie sono invece capitolate in settimana al di sotto dei minimi di ottobre. A Piazza Affari ciò è accaduto a UniCredit, Banco Popolare, Monte Paschi e Ubi Banca, a testimonianza del fatto che sul mercato continuano a esserci dubbi sulla solidità di certi attivi degli istituti, al punto da attribuire agli stessi una valutazione drammaticamente inferiore rispetto al patrimonio netto contabile. In queste fasi, purtroppo, il confine tra aspettative fondate e eccessi speculativi e comportamentali è imprecisato.
Pur nella straordinarietà del momento, da mesi il mercato stesso riconosce alle banche italiane una maggiore stabilità (o, se preferite, una minor instabilità) rispetto alla maggior parte delle concorrenti anglosassoni, per le quali lo stillicidio di ribassi sembra non avere fine (si vede a pag. 9). Ciò è constatabile anche dalla minor ferocia con la quale le ondate di vendite si abbattono sui titoli bancari italiani nelle giornate di maggiore tensione. Di questi tempi, perdere l'8/10% in una seduta anzichè il 20/30% è già qualcosa. Se per gli istituti italiani il ricorso ad aiuti pubblici quali la sottoscrizione dei Tremonti-bond sarà una opzione, per qualche banca estera (soprattutto tra le inglesi) la nazionalizzazione può diventare l'unica strada per evitare il fallimento. Al momento non pare che le banche italiane abbiano difficoltà a finanziarsi presso i risparmiatori a tassi più bassi rispetto al 7,5% che dovranno riconoscere a eventuali prestiti di Stato. Anche perché la fruizione di questi capitali comporterà dei condizionamenti sulla gestione delle banche.
L'area di maggiore fragilità delle obbligazioni è ovviamente quella dei prestiti subordinati, che sono stati emessi in quantità negli anni passati. Le quotazioni dei bond Tier I (quelli con la massima subordinazione) di Royal Bank of Scotland sono scese al di sotto di 20. Anche in presenza di un salvataggio statale, il mercato si aspetta che la banca eserciti la possibilità di non erogare le cedole. Davvero un imbarazzante destino per il colosso scozzese e il management che l'ha ridotta in queste condizioni, capitanato dall'ex amministratore delegato Sir Fred Goodwin, detto «Fred the Shred» (Fred il tagliatore - di risorse umane ovviamente). Costretto all'uscita nell'ottobre scorso, il peggio che potrebbe accadergli ora è di passare il resto dei suoi giorni a giocare a golf e a godersi i milioni di sterline accumulati nella sua meteorica carriera. Ma non gli andrà così male: il «Times » ha sussurrato che per lui potrebbe esserci un ruolo importante nella Formula Uno del dopo-Mosley.