La laurea in giurisprudenza – si diceva un tempo – apre tutte le porte. Negli ultimi anni, però, la situazione è cambiata: gli studi di diritto conservano una buona spendibilità sul mercato del lavoro, ma non sono più un passepartout universale. Lo dimostrano tra l'altro gli ultimi dati Istat, secondo cui, a tre anni dalla laurea "lunga" in legge, solo il 52,7% dei laureati ha un lavoro, contro una media del 73,3 per cento. Perciò, chi non vuole intraprendere la via maestra delle professioni legali, dovrà farsi strada nel mondo delle imprese.
«In ambito aziendale, la laurea in giurisprudenza è sempre molto apprezzata nella direzione risorse umane, ma negli ultimi tempi abbiamo visto crescere anche le richieste nel settore finance, e in particolare nel ruolo del credit manager (recupero crediti, ndr), dove occorre anche una buona competenza tecnico-giuridica», spiega Anna Bogatto, candidate management director di Adecco Italia.
Quando si parla di risorse umane, comunque, è bene rilevare che i numeri in gioco sono piuttosto esigui. Anche aziende di grandi dimensioni hanno solo due o tre addetti che si occupano di gestione del personale. «In futuro, le funzioni delle risorse umane al servizio delle imprese saranno sempre più affidate in outsourcing», aggiunge Bogatto.
Gli annunci di lavoro pubblicati nel mese di aprile sul sito Monster (www.monster.it) tracciano un quadro delle richieste delle aziende. Il maggior numero di offerte per i laureati in giurisprudenza viene da istituti bancari e di credito al consumo (12,7% degli annunci totali) e assicurazioni (11,6%). Seguono le proposte nel campo dei servizi legali (10%) e finanziari (7,8%).
Il resto degli annunci è distribuito tra tutti gli ambiti aziendali, mentre altre opzioni lavorative – seppure limitate in termini di posti disponibili – riguardano la pubblica amministrazione, la consulenza specializzata e l'insegnamento nelle scuole superiori.
Dal punto di vista delle imprese, un neolaureato in giurisprudenza è un soggetto che combina la formazione umanistica con un bagaglio di conoscenze tecniche spesso utilissime in ambito aziendale (ad esempio, la disciplina della privacy, il diritto del lavoro, la normativa anti-riciclaggio). Tuttavia, quando si esce dagli ambiti strettamente giuridici, i dottori in legge si trovano spesso a competere per gli stessi posti di lavoro cui ambiscono – tra gli altri – i laureati in scienze politiche, lettere moderne e scienze della comunicazione.
Se il mondo delle aziende non sempre spalanca le porte ai laureati in legge, qual è la situazione per chi vuol fare l'avvocato? «Il mercato è estremamente difficile, perché non c'è più un rapporto equilibrato tra le esigenze di tutela e difesa e il numero dei professionisti iscritti all'albo», rileva Pierluigi Tirale, segretario del Consiglio nazionale forense.
Le difficoltà per gli avvocati, insomma, cominciano dopo l'esame di Stato. «Non è solo un problema di saturazione del mercato – spiega Tirale –. Oggi una preparazione generalista non è più sufficiente, ma non bisogna neppure frammentare in modo eccessivo le proprie conoscenze del diritto: un rischio che corre, ad esempio, chi compie esperienze temporanee nei grandi studi e poi torna a operare in autonomia».
È fondamentale, dunque, individuare gli ambiti più fertili. Afferma ancora Tirale: «Il diritto ambientale e il diritto dell'intermediazione finanziaria sono in forte espansione, così come la consulenza giuridica preventiva. Anche la conciliazione dovrebbe crescere nei prossimi anni. Trovando i settori giusti si può emergere, ma i ragazzi devono sapere che questo è un campo difficile, che richiede studio e serietà».