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La riscossa europea al primo traguardo

di Adriana Cerretelli

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Martedí 07 Luglio 2009

Il pungolo francese. L'incontenibile ambizione di Nicolas Sarkozy di cavalcare la grande crisi finanziaria per rifondare il capitalismo anglosassone annegato nei suoi eccessi. La voglia matta di asserire la superiorità, anche morale, del modello europeo, magari molto più grigio e felpato ma apparentemente più solido. L'alleanza con la Germania di Angela Merkel. La presidenza americana di George W. Bush sul viale di un drammatico tramonto.

Meno di sette mesi fa a Washington partiva da qui, da un'iniziativa tutta europea la lunga marcia che, nelle intenzioni e con il tempo, dovrebbe rifare i connotati alla finanza globale, disegnando la nuova architettura di mercati, regole e vigilanza internazionali per dare vita a un nuovo ordine mondiale più sicuro, trasparente e stabile.

Doveva esserne il G-8+5 - i maggiori paesi industrializzati ed emergenti - il grande demiurgo ma Bush, l'ospite, decise per il G-20. Che da allora non ha mollato la presa: dopo Londra in aprile, nuovo vertice a Pittsburg in settembre. Intermezzo all'Aquila dove domani e dopo il G-8 allargato poserà un'altra pietra, tenendo a battesimo il nuovo codice dei global standard, voluto da Giulio Tremonti ed elaborato con i tecnici dell'Ocse.

Duecento giorni sono pochi per rifare il mondo ribaltando l'ideologia del dio-mercato, libero e intoccabile, nel nuovo dogma di Gulliver. Che, per dirla con la coppia Sarkozy-Merkel, recita: «In futuro nessun soggetto, prodotto o servizio finanziario potrà sfuggire alla disciplina delle regole».

Di esitazioni e riserve su una regolamentazione a 360 gradi continuano in realtà a essercene fin troppe. In Europa come negli Stati Uniti, che sono quelli che contano. Insieme fanno il 75% del mercato finanziario mondiale anche se i rapporti di forza si sono invertiti: con il 40% l'Ue detiene la quota maggiore, quando ancora nel 2000 la sua fetta era la metà di quella americana. Più clamoroso il ribaltone se si guarda l'indice IPO: i collocamenti di nuove società in Borsa negli Usa fino al 2005 sono stati più che doppi. Poi è avvenuto esattamente il contrario. Complice lo scandalo Enron e la legge Sarbanes-Oxley che ha imposto controlli molto più farraginosi sulle società. Risultato, i mercati europei sono diventati più veloci.

«Adesso o mai più. Se non riusciremo a riformare la vigilanza in Europa nel pieno di una grave crisi, quando mai potremo riuscirci?» avverte il presidente della Commissione europea José Barroso. Il richiamo all'ordine non è casuale. C'è chi comincia a temere che, se la ripresa economica non tarderà troppo, l'intera operazione possa risolversi in tanto rumore per quasi nulla.

La grande riforma anti-crack presentata a metà giugno dal presidente Barak Obama, che prevede maggiori poteri per la Federal Reserve, controlli più stringenti sui mercati e più tutela per i risparmiatori, è un segnale importante ma ancora un progetto di carta: ai cui fianchi lavorano le grandi lobby bancarie insieme alle divisioni in Congresso tra i democratici e tra questi e i repubblicani. Difficile del resto ripudiare una cultura e interessi consolidati.

I progressi fatti in Europa sono decisamente più concreti: sono state approvate le nuove regole per le agenzie di rating, presentate quelle per gli hedge fund e contro le remunerazioni d'oro dei top manager. Si attendono per fine settembre le proposte formali sul nuovo sistema europeo di vigilanza dei mercati secondo lo schema De Larosière delle due Autorità: una sui rischi sistemici che avrà il suo dominus nella Bce, l'altra con compiti di sorveglianza micro-prudenziale e di coordinamento tra le 27 Authority nazionali di vigilanza su banche, assicurazioni e Borse.

A prima vista l'Europa si conferma la prima della classe. Nei fatti, e in attesa di proposte che arriveranno solo in settembre, si è già abbondantemente scannata al proprio interno: gli inglesi da una parte, sostenuti da Slovenia, Slovacchia, Romania e in parte Germania. Francia, Germania e Italia dall'altra. No a decisioni e arbitrati vincolanti, no al ruolo della Bce: alla fine però il premier Gordon Brown si è arreso. Con un'eccezione: «È inconcepibile che un Governo sia chiamato a pagare il conto della decisione di un'autorità europea».

Non succederà. Londra quindi ha abbozzato. Ma non si escludono nuovi assalti in futuro. Anche se sulla vigilanza si decide a maggioranza. Nessuno però in Europa vuole legiferare contro la City. Con la grande crisi la stessa City ha capito che a fare l'off-shore dell'Unione si rischia di più che a starci dentro. La storia dei mai sopiti dissidi intra-europei, la riluttanza ad accettare autorità sovranazionali la dice lunga però sulla difficoltà di elaborare una credibile regolamentazione finanziaria globale. Accettabile a tutti. Evidentemente la moltiplicazione delle "G" non basta a fare il miracolo.

Martedí 07 Luglio 2009
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