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La sfida sul clima, in vista di Copenaghen

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7 luglio 2009

L'obiettivo della presidenza italiana è di avvicinare le posizioni di Usa a Ue, ma gli «ossi duri» sono i cinque paesi emergenti: Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica

Fissare un quadro generale di impegni ambiziosi ma realistici, che permettano di arrivare a dicembre al vertice dell'Onu di Copenaghen e concludere un accordo per sostituire il protocollo di Kyoto che scade nel 2012: è l'obiettivo del summit del G-8 dell'Aquila sul fronte del clima, che assieme alla crisi economica e lo sviluppo sarà uno dei principali temi sul tavolo dei Grandi nel capoluogo abruzzese.


La sfida arriva in un momento delicato e cruciale, mentre la Casa Bianca con Barack Obama si è aperta alle esigenze di lotta al cambiamento climatico: ma la svolta decisiva verso Copenaghen ci sarà solo se Europa e Stati Uniti riusciranno a fare fronte comune e influenzare le grandi economie emergenti, a cominciare da Cina, India e Brasile, che nel 2050 saranno i principali emettitori di gas a effetto serra.

La presidenza italiana cercherà innanzitutto di avvicinare il più possibile la posizione degli Stati Uniti a quella dell'Europa, operando una mediazione: anche se il quadro Ue per la riduzione delle emissioni è il più ambizioso (20% di emissioni in meno entro il 2020 rispetto al 1990, aumentabili al 30% se gli altri partner internazionali seguiranno), «quel che serve ora è un accordo globale», ricordano le fonti. In altre parole, in questo momento negoziale, se si resta inamovibili sulle posizioni europee, si rischia di ritrovarsi soli, come prima dell'era Obama.

Tutti i paesi emergenti stanno cominciando a fare sforzi, inclusa la Cina che a inizio giugno ha presentato un piano ambizioso per aumentare fino al 20% l'energia da rinnovabili, ma tendono a diffidare di eccessivi vincoli internazionali perché hanno paura che possano bloccare la loro crescita industriale. Ancora in questi giorni Pechino ha ribadito la sua posizione classica: il viceministro degli Esteri He Yafei ha parlato della necessità di una strategia comune insistendo che «uno dei principi-chiave di Kyoto è la responsabilità comune ma differenziata» e ha sottolineato la contrarietà di Pechino a una carbon tax e al protezionismo per affrontare i cambiamenti climatici. Una posizione, ha ricordato He, comune a quella del presidente americano Barack Obama. Fra i più ostici nel G5 al livello negoziale vi sono gli indiani, ma anche il Brasile su certi aspetti, mentre il Sudafrica del nuovo presidente Jacob Zuma sembra un po' meno aperto di prima.

La dichiarazione finale, in ogni caso, affronterà tutti gli aspetti del problema: la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra («mitigation»), i finanziamenti da stanziare, le tecnologie per arrivarci e le problematiche di adattamento.Queste ultime riguardano come affrontare fenomeni già in atto (erosione, desertificazione, ecc.), che spesso colpiscono proprio i paesi più poveri e deboli. Ove possibile, hanno indicato le fonti, si cercherà di produrre obiettivi cifrati, sapendo che quelli più controversi ma anche più importanti e simbolici sono quelli sulla riduzione delle emissioni.

7 luglio 2009
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