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ANALISI / Scarsa mobilità per andare in cerca di nuove chance

di Gian Carlo Blangiardo

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01 febbraio 2010

Immigrati stranieri, poco "emigranti" in Italia. I dati più recenti sui trasferimenti di residenza della popolazione straniera indicano che circa un soggetto ogni venti ha modificato, nel corso di un anno, la propria dimora abituale. Pur aggregando il 15% del totale dei movimenti anagrafici interni al paese (come espressione di un collettivo che rappresenta circa il 7% del totale dei residenti), non si può certo parlare di ingenti masse che si muovono lungo la penisola – e ancor meno che la risalgono impetuosamente – alla ricerca di nuove e migliori opportunità di lavoro. Di fatto sono circa 230mila le cancellazioni e (in parallelo) le iscrizioni di cittadini stranieri dalle (e nelle) anagrafi di uno degli oltre 8mila comuni italiani. Se si pensa che nello stesso intervallo di tempo le iscrizioni direttamente provenienti dall'estero sono state poco meno di 500mila si ha la conferma di un modello di mobilità degli stranieri ancora riconducibile più a esperienze di primo insediamento che a fenomeni di progressione verso nuovi ambiti territoriali.

Tuttavia, seppur relativamente contenuti nella loro dimensione quantitativa, i percorsi di mobilità interna valgono a localizzare alcuni interessanti poli di attrazione e di espulsione e aiutano a comprendere la geografia della presenza e della crescita della popolazione straniera nel nostro paese. In tal senso l'analisi dei dati provinciali offre spunti per cogliere, da un lato, la classica contrapposizione Nord-Sud, dall'altro l'effetto espulsivo, o semplicemente redistributivo, che sembra attribuibile alle grandi aree metropolitane. In particolare, nell'ambito delle attuali 107 province circa due terzi mostrano un saldo positivo relativamente al movimento interno della popolazione straniera e tra di esse rientrano quasi tutte quelle situate al Centro Nord, con poche eccezioni – quand'anche di rilievo – per lo più in corrispondenza delle grandi province metropolitane (Torino, Milano, Firenze e Roma).

Ben diversa è la situazione nel Mezzogiorno, dove i saldi migratori degli stranieri per spostamenti di residenza entro il territorio nazionale sono pressoché ovunque negativi, con modeste eccezioni in alcune realtà minori della Sardegna e nelle province di Brindisi e Matera. Se poi dai dati assoluti si passa ai relativi tassi – commisurando il saldo migratorio alla corrispondente consistenza numerica dei residenti – emerge con chiarezza anche la differenziazione tra aree metropolitane e non. Delle 24 province con un tasso positivo almeno nell'ordine del 10 per mille, sono solo quelle di Bergamo, Brescia e Genova a presentare una grande città come comune capoluogo. In tutti gli altri casi si tratta di realtà provinciali meno contraddistinte da un grande polo urbano.

Passando poi all'analisi dei dati comunali, ci si rende conto che, nel ristretto insieme delle 28 realtà municipali con almeno 10mila stranieri residenti, tra i 16 comuni che risultano attrattivi (ossia caratterizzati da un indice migratorio positivo riguardo alla la mobilità interna della popolazione straniera) si ha unicamente la presenza delle grandi città di Genova e Bologna; si segnalano come illustri assenti i comuni di Roma, Milano, Torino e Firenze. In particolare, i primi tre – ovvero le sole città italiane con almeno 100mila residenti stranieri – risultano caratterizzati nel 2008 da un surplus di uscite (rispetto alle entrate) che, allorché si considerano i processi di mobilità interna, va dalle mille unità di Torino alle 3-4mila di Milano e Roma; se però si guarda al flusso netto delle provenienze dall'estero si rileva come esse continuino a richiamare saldi netti positivi e consistenti: si va dalla decina di migliaia di unità per Torino e Milano, a più di 30mila per Roma.

In conclusione, la lettura dei dati anagrafici sulla mobilità interna consegna l'immagine di una presenza straniera che sembra ancora vedere nella grande città un riferimento primario, ma al tempo stesso non manca di scoprire progressivamente, spesso spinta dalla difficoltà del vivere quotidiano, realtà territoriali più periferiche. Si tratta in molti casi di ambiti in cui le migliori opportunità residenziali sembrano poter anche agevolare il processo di trasformazione verso una presenza più di tipo familiare e verosimilmente verso progetti migratori più stabili; spesso destinati a trasformarsi in definitivi

Fondazione Ismu
Università Milano Bicocca

01 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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