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Troppe Cassandre sulla ripresa

di Lucrezia Reichlin*

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2 dicembre 2009

I numeri sul terzo trimestre della crescita del Prodotto interno lordo, la misura più comprensiva dell'attività economica, mostrano che nella maggioranza dei paesi i tassi di variazione tornano positivi. Le incertezze rimangono, ma, dopo più di un anno di recessione, si parla di ripresa.

Abbiamo vissuto la recessione più profonda del dopoguerra nei paesi industrializzati. Dobbiamo aspettarci che questa caduta del reddito sia stato un fenomeno temporaneo, come le altre recessioni degli ultimi cinquant'anni che hanno colpito le società a economia di mercato? O questa volta gli effetti saranno più persistenti e indeboliranno la capacità di crescere nel futuro?

Il Fondo monetario internazionale prevede che questa ripresa - sia del Pil che dell'occupazione - sarà meno vigorosa di quelle verificatesi dagli anni Settanta. Negli StatiUniti, ma anche in Europa, l'indebitamento delle famiglie e delle imprese ha visto un trend crescente negli ultimi quindici anni che, come conseguenza della recessione, ha avuto un'ulteriore impennata. Questo, insieme all'elevata disoccupazione, pesa sulla ripresa del consumo e dell'investimento. Sempre l'Fmi, in una ricerca pubblicata sul World Economic Outlook e basata sullo studio di 88 crisi bancarie dal 1970 al 2002, suggerisce che le recessioni precedute da crisi degli istituti di credito, non sono fenomeni temporanei, ma infliggono danni permanenti all'economia.

Il Fondo stima che, dopo sette anni dalla crisi, il livello del Pil sia ancora del 10% inferiore al reddito negli anni che la precedono. I meccanismi che potrebbero spiegare questo effetto sono diversi: lo stress finanziario aumenta il costo dei prestiti bancari e ha un effetto su investimento e accumulazione del capitale nel lungo periodo; investimento e consumo sono affetti dall'incertezza e dal rischio che in genere accompagna le crisi finanziarie; infine, tanto più alta è la disoccupazione che ne deriva, tanto più si perde capacità di creare occupazione futura. Dai calcoli dell'Fmi dovremmo aspettarci che nel 2014 saremo più poveri che nel 2008 anche se i tassi di crescita riprendessero ai livelli medi del 2% visti prima dellacrisi.Per l'Europa questo scenario sarebbe aggravato da una previsione di diminuzione dei tassi di crescita di medio periodo che la Commissione europea stima saranno solo intorno all'1 per cento.

Dobbiamo credere a una visione così pessimista?Vorrei fare l'avvocato del diavolo. La ricerca mostra che prevedere il Pil al di là di un trimestre ha lo stesso grado di accuratezza di un lancio di dado. Inoltre, le previsioni errano per vari trimestri nella stessa direzione. Non solo la recessione non è stataprevista, ma le previsioni dell'Fmi come quelle di altre istituzioni hanno peccato per ottimismo sul 2009 e il 2010 in modo persistente. Il contrario sta accadendo ora. Non solo la ripresa non è stata prevista, ma è da sei mesi che le stime per il 2010 sono state modificate al rialzo. Da eccessivo ottimismo si è passati a eccessivo pessimismo.

Bisogna osservare che i calcoli dell'Fmi sulle crisi finanziarie non sono convincenti come indicatori di quello che succederà in Europa e negli Usa nei prossimi anni. Quei calcoli si basano su aggregazioni di paesi diversi, molti dei quali hanno una volatilità storica ben più alta dei grandi paesi dell'euro o degli Usa. Al contrario, se guardiamo al Pil pro capite degli Stati Uniti e dell'area euro dal 1970 al 2007, notiamo un trend costante del tasso di crescita, intorno al 2%, e un gap tra i loro livelli anch'esso costante, intorno al 30 per cento. Una caduta protratta del livello del reddito pro capite non si è mai vista negli ultimi quarant'anni, né si è visto un aumento. Nonostante la profondità e durata di questa recessione è difficile credere a un cambiamento strutturale così radicale. Il reddito potenziale è determinato dalla produttività e dalle risorse in termini di capitale e lavoro. Non c'è una stima credibile dell'aumento del costo del credito che comporti una caduta dell'accumulazione di capitale così protratto nel tempo da giustificare previsioni tanto pessimiste per il lungo periodo.

Un altro motivo di pessimismo è la mancata ripresa dell'occupazione. Su tale aspetto, questo ciclo non è così diverso dal passato: dall'inizio degli anni Novanta, le riprese negli Stati Uniti sono caratterizzate da un aumento della produttività del lavoro nel breve periodo. Queste cosiddette jobless recoveries sono state caratterizzate da un lungo ritardo della dinamica dell'occupazione rispetto a quella del reddito. Per l'area euro la relazione è meno chiara, ma anche in questo caso non si nota una correlazione contemporanea tra Pil e occupazione. Non voglio dire che non ci sono incertezze rilevanti sul futuro della crescita. Elementi chiave per decidere chi tra i pessimisti o gli ottimisti abbia ragione è il grado di persistenza del debito e gli effetti su consumo e investimento, la salute del sistema finanziario e la dinamica del costo del credito.L'alto livello del debito delle famiglie negli Stati Uniti spiega la debolezza della dinamica del consumo, ma, se guardiamo alle banche, quello che sembra emergere, almeno in Europa, è che la debolezza dei bilanci derivi soprattutto dai cosiddetti prestiti incagliati o in sofferenza, che seguono con ritardo il ciclo economico. Ciò suggerisce che ora la fragilità dei bilanci sia la conseguenza del declino del Pil, non la sua causa.

  CONTINUA ...»

2 dicembre 2009
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