L'immane tragedia di Haiti è destinata a non abbandonare le pagine dei giornali per lungo tempo. Questo perché le scosse del terremoto hanno fatto vacillare un paese fragilissimo e segnato dalla miseria. La povertà di Haiti non è un dato naturale: ma conseguenza d'istituzioni inadeguate a promuovere lo sviluppo.
Nell'Index of Economic Freedom della Heritage Foundation e del Wall Street Journal, Haiti è 141ª, con un punteggio di 50/100 che ne fa uno dei paesi meno "economicamente liberi" al mondo: i diritti di proprietà non sono efficacemente tutelati, la spesa pubblica è bassa ma la presenza dello stato nell'economia è pervasiva, gli investimenti esteri in tutti i settori strategici (dalla sanità alle tlc, dall'acqua all'energia) sono vincolati a un'esplicita approvazione politica, la vita economica è vessata da regolamentazioni bizantine. Non è sorprendente che si stimi che il "nero" lambisca il 95% dell'economia, né che l'isola caraibica sia il 155° paese al mondo per Pil pro-capite. La miseria diffusa si riverbera anche in indici alternativi al Pil, come lo Human Development Index dell'Onu, che classifica Haiti al 149° posto.
È stato osservato da più parti che paesi più ricchi reagiscono con meno difficoltà alle catastrofi naturali. Viene spontaneo giustapporre mentalmente ad Haiti Hong Kong, che ha una popolazione lievemente inferiore (7 milioni di abitanti) ma è il primo paese al mondo per libertà economica e l'11° per Pil pro-capite (quasi 40 volte quello di Haiti). Hong Kong è una città pensata per resistere ai tifoni fino nei più piccoli dettagli, e per giunta con strutture sempre più avveniristiche e all'apparenza persino fragili, ma in realtà solidissime. Il Pil non sarà tutto, ma essere ricchi è indubbiamente meglio che essere poveri.
È bene chiarire che non è questione di "avere quattrini". Come ha scritto Peter T. Bauer (Dalla sussistenza allo scambio, Ibl Libri, 2009) avere denaro è l'ultimo e non il primo passo nel successo economico. Per arrivare ad avere denaro servono molte cose. Una di queste è un settore privato florido: che è pressoché totalmente assente ad Haiti, dove la componente non-pubblica dell'economia è divisa fra agricoltura di sussistenza e micro-imprese. In un loro contributo del 2006, Terry Buss e Adam Gardner ricordavano come gli haitiani avessero ricevuto miliardi di dollari in aiuti allo sviluppo senza trarne di fatto alcun tangibile ed effettivo beneficio (fra il 1990 e il 2005, gli Usa hanno donato all'isola 1.466 milioni di dollari).
Se l'esperienza insegna, allora gli aiuti emergenziali sono essenziali e inevitabili nell'immediato, ma la cosa peggiore che possa accadere ad Haiti è sviluppare l'illusione che il suo futuro sia legato alla generosità del resto del mondo. Che fare? Tyler Cowen ha proposto sul blog Marginal Revolution una serie di "altri modi di aiutare Haiti". Ci sono alcune cose che potrebbero comunque essere fatte, da parte degli Usa e della comunità internazionale, per creare condizioni più positive.
Le più importanti sono due misure solo apparentemente semplici ma cruciali. Abolire i dazi sull'importazione di zucchero haitiano, una delle produzioni locali più importanti, creando così un mercato più vasto per i produttori. E adattare i requisiti di sicurezza per l'importazione dei mango di Haiti, per perseguire un obiettivo analogo. La politica dello zucchero degli Usa procede per "quote" riservate ai paesi esportatori, a tutela dei produttori locali. Lo stesso principio protezionista orienta la politica agricola europea ma, rispetto allo zucchero, la Ue ha perlomeno ridotto il suo supporto al settore a partire dal 2005.
Altri due suggerimenti di Cowen meritano di essere ricordati. Il primo è la definizione di diritti di proprietà a vantaggio degli squatter, gli occupanti informali di una certa palazzina o di un certo terreno, a Port-au-Prince. Potrebbe sembrare in contrasto con la tutela della proprietà, ma non è così. Hernando de Soto ci ha insegnato che uno dei problemi dei Pvs è lo iato fra proprietà riconosciute e non. Garantire lo statuto di proprietario in piena regola a chi da anni è proprietario di fatto di luoghi che sono nominalmente dello stato cambierebbe la percezione che queste famiglie hanno del mondo. Dal niente che hanno, darebbe loro un "qualcosa" da cui cominciare.
Cowen suggerisce inoltre agli Usa di fare il gesto di solidarietà più concreto e difficile: consentire facilmente l'immigrazione dei profughi haitiani. Un'aggiunta: secondo il Miami Herald, ad Haiti ci sono 750mila bambini orfani su 9,5 milioni di abitanti. Una corsia prefenziale nel complesso e iper-regolamentato mondo delle adozioni internazionali sarebbe un toccasana.