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ANALISI / Le regole del Leone bloccano la corsa al «super-presidente»

di Riccardo Sabbatini

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02 febbraio 2010

Semmai il presidente di Mediobanca Cesare Geronzi dovesse ripensarci e, a differenza di quanto ha pubblicamente dichiarato nei mesi scorsi accettasse di candidarsi alla presidenza delle Generali, in che struttura di corporate governance si collocherebbe il suo, eventuale, nuovo incarico? A tre mesi dall'assemblea del gruppo triestino, che a fine aprile procederà al rinnovo dei suoi vertici, i tam tam dei giornali si rincorrono sui nomi di chi potrebbe salire alla guida del leone qualora l'ottantaquattrenne Antoine Bernheim abbandonasse il suo incarico. E il nome più gettonato è sempre quello di Geronzi, a dispetto del suo dichiarato "disinteresse". Non solo. A fronte di una candidatura che, nelle ricostruzioni della stampa, si caricherebbe di una funzione strategica di guida della società, giova forse ricordare che l'attuale corporate governance della Generali non autorizza simili interpretazioni.

L'ultima relazione sul governo societario della compagnia (primavera 2009) considera la figura del presidente investita di deleghe operative ma quest'ultime, in effetti, attengono soprattutto al sistema dei controlli interni. In particolare a Bernheim è stata attribuita soprattutto la gestione delle relazioni interne, dei rapporti istituzionali, la gestione dei rischi e la revisione interna. È pur vero che lo stesso Geronzi, in un'intervista a "Il Sole 24 Ore" aveva auspicato per il futuro della compagnia un «forte presidente esecutivo» ma la riflessione interna al gruppo sembra andare in una direzione differente. Delineando il sistema dei controlli interni in un recente convegno, il vice direttore generale Aldo Minucci ha sottolineato che l'assetto del gruppo (in coerenza con le sue relazioni di corporate governance) sta evolvendo verso una struttura che pone la vigilanza sui rischi sotto il consiglio di amministrazione e l'area dei controlli, il cui responsabile non ha ruoli di sovrintendenza su unità operative, riporta al presidente. Questa logica di «piena autonomia organizzativa delle funzioni di controllo rispetto al vertice operativo» appare destinata ad essere ribadita anche per il futuro. Indipendentemente da chi verrà chiamato a ricoprire l'incarico di Presidente nel prossimo triennio.

Nei rumor di queste settimane si formulano poi interpretazioni sul ruolo di sistema che il gruppo triestino verrebbe chiamato a ricoprire come cerniera del "salotto buono" del capitalismo italiano. Una ricostruzione che trova sostegno nelle tante partecipazioni che le Generali detengono in molte società strategiche del made in Italy, da Intesa Sanpaolo a Rcs, alla Fiat. E via partecipando.

Anche questa realtà, costruita negli anni attorno a Mediobanca - storico azionista di riferimento delle Generali - è in via di evoluzione. Anche per ragioni regolamentari. La recente normativa di Solvency II sui ratios patrimoniali delle compagnie di assicurazione – attualmente sono in via di definizione le misure applicative- sta per imporre più severi requisiti di capitale per le società che detengono partecipazioni azionarie. Se attualmente gli investimenti nel capitale delle banche solo in parte - lo prevedono le norme sui conglomerati finanziari – in futuro questo tipo di copertura potrebbe essere del tutto vietata. E, per quanto riguarda gli investimenti in società non bancarie, si prefigurano ratios patrimoniali rafforzati in relazione alla rischiosità (volatilità) di quelle partecipazioni. Sul tema è in corso un acceso confronto tra l'industria europea delle polizze ed i regulator. Le imprese fanno presente che, in relazione all'orizzonte di lungo periodo degli investimenti assicurativi, dovrebbero essere adottate stime di volatilità più moderate. Al di là delle questioni tecniche, comunque, resta il fatto che il capitale di vigilanza sarà in futuro una questione sempre più centrale nella strategia delle imprese. E ciascun investimento azionario dovrà essere considerato, o riconsiderato, alla luce del nuovo scenario regolamentare perchè avrà un impatto diretto sulla profittabilità delle imprese. Al di là ogni elucubrazione sul futuro del "salotto buono".

02 febbraio 2010
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