Era atteso, annunciato. Ma pochi in Italia si sono resi conto dell'ingresso a pieno titolo nell'empireo globale dell'Mba delle scuole di business dei paesi a sviluppo più accelerato. Primati americani, inglesi o francesi addio. Ed è subito nuovo business, come spin-off del più generale e redditizio giro d'affari del settore education nel mondo globalizzato (vedi servizio qui a lato).
Mentre in Italia, nel paese delle riforme senza fine della scuola e dell'università, gli studenti con maggior o minore entusiamo cercano di conquistarsi il classico pezzo di carta, in altre parti del mondo (quelle oggi più vitali, e non solo quanto a crescita del Pil) si sa che un titolo o un network di alumni di università o scuole di business sia pur prestigiose non bastano più. Nel mondo del lavoro globale, che non conosce frontiere per lavoratori specializzati, ma soprattutto per ricercatori e manager, la domanda si è fatta esigente. Per essere all'altezza della sfida le conoscenze puramente teoriche non bastano più. Occorre una conoscenza applicata delle realtà anche più lontane ed "esotiche".
«Chi vorrei assumere? – è la domanda retorica di Ruben Vardanian, presidente della autorevole Skolkovo Moscow business school – Vorrei assumere qualcuno che sappia pensare in maniera non convenzionale, prendersi dei rischi, e con una leadership naturale. Una persona aperta al mondo, in grado di adattarsi a lavorare in una varietà di circostanze e in diverse condizioni: culturali, specifiche di un certo paese, come nazionali».
Imperativo quindi già oggi, ma lo sarà sempre di più in futuro, andare a prendersi un Mba non più solo negli Usa o nel Regno Unito, ma a Shanghai, Mosca o Hyderabad. Inutile illudersi che l'e-learning, cui oggi ricorrono i protagonisti di ieri forti dei monopoli passati, possa essere un salvacondotto per il nuovo mondo. Va respirata l'aria, conosciuta la cultura di economie finora troppo lontane. Vanno vivisezionati i nuovi modelli di sviluppo, liberi dalle nozioni tradizionali: a partire dal "Beijing Consensus" (come ha scritto Katrin Bennhold sull'Herald Tribune la scorsa settimana), quell'ibrido di "confucianesimo-comunismo-capitalismo" che potrebbe sostituire nelle strategie economiche degli emergenti il mix di libero mercato, valute fluttuanti e libere elezioni del (datato?) "Washington consensus".