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NO COMMENT / Quant'è ricco il piatto dell'energia

di Fabio Tamburini

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2 Gennaio 2010

Nella prima metà degli anni 2000 la domanda di energia sul mercato italiano è risultata nettamente superiore all'offerta. La conseguenza, come da manuale, sono stati investimenti significativi dei produttori di nuovi impianti sia nel gas sia nella produzione di elettricità. Si sono mobilitati buona parte dei protagonisti: dalla Edison a Sorgenia, dalla Edipower all'Eni, dalla A2A agli svizzeri di Alpiq (l'ex Atel). Così il 2009, per esempio, è stato l'anno in cui sono entrate in funzione centrali di notevole potenza. Altre seguiranno nei prossimi due, tre anni. Non solo. Nei giorni scorsi il governo ha varato il primo pacchetto di provvedimenti che apre la strada al ritorno dell'energia nucleare made in Italy con il decreto sulla localizzazione delle centrali e sulle compensazioni previste per enti locali e cittadini. Il programma annunciato dal ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, è impegnativo: nel 2020 il nucleare coprirà il 25% dei consumi, trascinando con sé la diminuzione del 30% delle bollette.

La medaglia ha due facce, che è opportuno tenere distinte: la sovraccapacità produttiva e la diversificazione nel nucleare. La prima, infatti, non significa necessariamente mettere in discussione la seconda, che risponde a necessità diverse come la riduzione dei costi produttivi di energia e maggiore autonomia dalle fonti energetiche tradizionali (a partire dal metano). Detto ciò, meritano qualche riflessione i numeri che ricorda Nino Lo Bianco, fondatore e presidente della Business Integration Partners (che conta oltre 400 consulenti). Nel gas saranno operative, al 2015, infrastrutture per 40 miliardi di metri cubi, pari al 45% del consumo attuale, con la possibilità che se ne aggiungano altre, per 20 miliardi di metri cubi, se verrà completato l'iter delle autorizzazioni in corso. E anche nell'elettricità gli investimenti per il rinnovo del parco centrali effettuati negli ultimi anni sono stati davvero elevati. Una sovraccapacità produttiva rilevante, confermata anche da un altro consulente ben conosciuto: Riccardo Monti, a.d. della Boston Consulting Group.

Sulla carta ci sono le premesse perché, al di là dell'apporto del nucleare, il costo dell'energia finalmente scenda. Ma non è così facile, perché i produttori hanno le loro ragioni. Hanno deciso gli investimenti secondo regole del gioco, cioè le condizioni di vendita dell'energia, che ora si aspettano vengano confermate. In più l'assenza di una pianificazione energetica organica, decentrata attualmente per competenza alle regioni e dunque per definizione non di carattere nazionale, non è certo colpa loro. Senza contare che i protagonisti del mercato attraversano momenti delicati.

Enel ha investito massicciamente nella crescita all'estero e ora deve mantenere livelli di redditività adeguati per pagare il debito. Edison affronta il cambio della guardia al vertice dell'azionista di maggior peso, la francese Edf. A2A e Acea devono fare i conti con le municipalità di Milano, Brescia, Roma, che significa rapporti ancora stretti con il mondo della politica. Un po' tutti, infine, puntano a ritagliarsi un ruolo nei piani di sviluppo per la costruzione di centrali nucleari. Il fatto è che il nucleare, oggetto dei desideri anche della tedesca Eon, in forte sviluppo sul mercato italiano, richiede investimenti elevati. Ecco perché l'impressione generale è che un conto è la teoria, ma un altro sarà la pratica. La teoria dice che quando l'offerta prevale sulla domanda i prezzi sono destinati a scendere. La pratica potrebbe fare, ancora una volta, eccezione.

fabio.tamburini@ilsole24ore.com

2 Gennaio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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