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IL DISCORSO DI CAPODANNO / Il Papa: l'uomo avvolto nel sacro della natura

di Davide Rondoni

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2 Gennaio 2010

Il centro da cui esplode, se così si può dire, l'"ecologia" di Benedetto XVI è il Salmo 8. Ne riporta un passo all'inizio, nell'impostazione del suo impegnativo discorso di ieri in occasione della Giornata della pace: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?» (Salmo 8,4-5).

La radice dell'"ecologia umana" richiamata ancora una volta da Benedetto nasce da quello sgomento, da quella sorpresa della creatura che riecheggia in tante espressioni geniali di tutti i tempi, pensiamo al nostro Leopardi. Per questo motivo l'invito a «coltivare la pace, custodire il creato» è prima ancora che un pesante imperativo etico, o una necessità epocale, l'atteggiamento che fiorisce in un animo percosso dalla dismisura che l'essere umano avverte tra sé e la vastità delle cose create. È l'atteggiamento di chi in questo sgomento avverte una specie di tremante privilegio: non c'è altro punto del cosmo che eguaglia l'uomo, la sua dignità e la grandezza della sua coscienza.

Qui, a questo gancio che è lo stupore primigenio dell'uomo, si lega anche quella tenerezza che il Papa ha richiamato nell'omelia della Messa di ieri, indicando negli esempi di fratellanza tra tanti piccoli di varie razze che convivono nelle nostre scuole un segno di ciò per cui siamo fatti, al di là delle differenze. Il rispetto per l'altro è forte se nasce da quello sgomento forte. È il «volto di Dio», dice il Papa, che può rendere sensibile un «cuore vuoto» e «svelare» anche il volto degli uomini, «benché a volte proprio il volto umano - ha osservato - segnato dalla durezza della vita e dal male possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come Epifania di Dio». «Per riconoscerci e rispettarci quali realmente siamo, cioè fratelli», insomma, «abbiamo bisogno di riferirci al volto di un Padre comune, che tutti ci ama, malgrado i nostri limiti e i nostri errori».

Il Papa attacca il suo discorso e la sua omelia là, nelle parole del Salmo. Esse danno la corrente di energia che sostiene poi il pacato, duro, libero ragionare del Papa, nel discorso ufficiale del 1° gennaio, sul tema del rapporto con la natura. Senza quello stupore per la vastità del creato e per la posizione speciale che l'uomo occupa nella sua "grammatica", non può esserci per Benedetto vera e propria assunzione di responsabilità.

Ancora una volta la grande sfida: l'uomo religioso, che vive «come se Dio ci fosse», matura un atteggiamento più responsabile verso l'esistenza di quanto possa fare chi crede di vivere sotto il dominio di un'oscura necessità o di una casuale fatalità. In questo senso, il discorso di Benedetto, mentre affronta temi che appartengono al grande dibattito pubblico, e spesso alla vanvera un po' stanca dei luoghi comuni, segna ancora una volta una diversità radicale, e porta una sfida al pensiero, e non solo ai comportamenti.

Non è, insomma, l'ennesimo invito ecologista stavolta ripetuto da un Papa invece che da Greenpeace. No, è un affondo, libero e disincantato, sul tema della conoscenza giusta, che permette la custodia migliore del mondo. Fissato questo chiodo, questo scandalo all'inizio, il ragionare del Papa può e sa correre con grande libertà e accuratezza a toccare i nodi del problema. Richiama senza mezzi termini tutti alle proprie responsabilità. Una natura tiranneggiata per motivi d'interesse tende a rivoltarsi.

Si rompe la «solidarietà intergenerazionale». La tecnica, svincolata dalla sua tensione a favorire lo sviluppo, diviene fattore di disuguaglianza e di dominio. E invece della sobrietà e solidarietà che siamo chiamati ad assumere come principi d'esistenza, permangono atteggiamenti di prevaricazione e d'incuria. Da essi nasce il dramma dei profughi ambientali, gente che scappa da situazioni invivibili, che si aggiunge alla già folta schiera dei profughi per guerre e violenze. Il libro della natura, insiste il Papa, è unico. Non ci può essere commozione per la natura senza che ci sia rispetto per l'uomo e riconoscimento della sua dignità suprema, vera e propria differenza ontologica.

E mentre plaude all'azione di tanti enti non governativi che premono per scelte più eque, invita a non assumere una visione panteista. Insomma, un cucciolo d'uomo non vale quanto un cucciolo di foca. E se ci s'impegna giustamente per la salvaguardia del secondo, sarebbe inevitabile occuparsi del diritto alla vita e a una dignitosa esistenza del primo. Il forte appello a fermare ogni azione di offesa violenta, rivolto a chiunque fa parte di gruppi armati, è connesso alla passione per l'ecologia umana.

C'è durezza nell'analisi del Pontefice e nel suo richiamo. Ma è espressa anche la visione della "crisi" come possibilità. Abbiamo l'opportunità, dice Benedetto, che dalla situazione di difficoltà venga un richiamo a ciascuno per un cambiamento di mentalità. Un richiamo a ciascuno per operare al livello che gli compete, secondo il principio di sussidiarietà da lui indicato.
Non è un tipo che si lamenta, il Papa. Invita sempre a una speranza possibile. E alla radice religiosa della responsabilità. Che è come dire, alla radice di gioia da cui solo può nascere e permanere un impegno sulle questioni grandi che si traducono anche in tante questioni piccole.

2 Gennaio 2010
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