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Ripresa e Ue, la tartaruga Germania non traina l'Europa

di Simon Tilford

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2 settembre 2009

Lo stato più grande dell'Unione europea si recherà alle urne fra meno di quattro settimane, ma, nonostante le prospettive economiche della Germania restino precariamente appese alla ripresa della domanda estera, in campagna elettorale praticamente nessuno affronta seriamente il nodo dell'eccessiva dipendenza dell'economia dalle esportazioni, e questo è preoccupante.
Per una ripresa economica sostenibile nell'Ue serve un riequilibrio fra paesi in surplus e paesi in deficit commerciale. La Germania dovrebbe riuscire a crescere con i propri mezzi, mentre gli altri dovrebbero smettere di affidarsi unicamente alla domanda interna e stimolare l'export.

Gli squilibri commerciali si sono ridotti da quando è iniziata la crisi, ma per affrontare gli squilibri di fondo servono cambiamenti nelle strutture economiche degli stati membri. Se ciò non accadrà, la crescita a lungo termine nel vecchio continente sarà debole e le tensioni all'interno della zona euro saranno inevitabili.
L'economia tedesca è tornata a crescere nel secondo trimestre dell'anno, più di quasi tutti gli altri paesi europei. Molti, in Germania e fuori dalla Germania, si sono affrettati a sostenere che questo dato era la dimostrazione della correttezza della preferenza tedesca per una crescita trainata dall'export. Secondo questa analisi, una ripresa in Germania rilancerebbe anche il resto della zona euro.

Per quanto possa sembrare paradossale, il ritorno alla crescita dell'economia tedesca non rappresenta necessariamente un bene per l'Europa. La crescente fiducia nell'imminente ripristino di una crescita rapida trainata dall'export probabilmente allenterà le pressioni sulle autorità tedesche per spingerle a preoccuparsi maggiormente della domanda interna.
Berlino ha preso delle misure per proteggere i consumi, sostenendo i salari dei lavoratori nel settore privato (e quindi frenando la crescita della disoccupazione) e sovvenzionando le vendite di automobili nuove. Grazie in buona parte a questi provvedimenti, i consumi hanno retto piuttosto bene. Ma si tratta solo di misure-tampone, per puntellare l'economia fino a quando non ripartirà la domanda estera.

Non siamo di fronte al riconoscimento della necessità di cambiare rotta: l'opinione pubblica continua a pensare che la soluzione è che gli altri paesi europei diventino più simili alla Germania, consumando meno, risparmiando di più e di conseguenza mantenendo una bilancia dei pagamenti in attivo.
Se l'Europa fosse in grado di tenere in piedi un surplus commerciale con il resto del mondo di vaste proporzioni e in costante aumento, allora l'intera Unione potrebbe, da un punto di vista matematico, seguire la strada tedesca. Ma questo è impossibile. Il disavanzo commerciale americano si sta riducendo ora che le famiglie di Oltreoceano hanno cominciato a rimettere in ordine i loro conti, e non c'è nessuna possibilità che l'Asia assuma il ruolo di «consumatore di ultima istanza».

In Germania c'è la tendenza a tacciare le critiche alle politiche del governo di Berlino come frutto dell'invidia o di pregiudizi «antitedeschi». Ma queste critiche sono antitedesche come possono essere antiamericane o antibritanniche quelle che dalla Germania vengono rivolte alle scelte di politica economica prese a Washington e a Londra.
Quanto all'invidia, sono anni che la Germania registra percentuali di crescita fra le più scadenti d'Europa. Escludendo il contributo offerto dall'export, è il risultato peggiore in assoluto. Perfino in un'economia tanto incentrata sulle esportazioni come quella tedesca, è l'andamento dell'economia nazionale il fattore che influisce davvero sull'occupazione e sul tenore di vita.
Se la fede tedesca nella superiorità della crescita trainata dalle esportazioni dovesse rafforzarsi ulteriormente, il risultato sarebbe una ripresa fiacca in Germania e seri problemi nel resto d'Europa. La Germania sicuramente riuscirebbe a rafforzare ulteriormente la sua quota di mercato all'interno dell'Eurozona (d'altronde le sue aziende si sono dimostrate più decise nel tagliare i costi rispetto ai concorrenti delle altre economie dell'euro), ma il prezzo da pagare sarà la stagnazione della domanda interna.

In questo contesto, sarà molto difficile per i paesi della zona euro in disavanzo commerciale rimettere in equilibrio le proprie economie. Non possono svalutare e possono soltanto potenziare la produttività sul lungo termine, e dunque l'unica scelta che avranno sarà fare in modo che prezzi e salari calino rispetto a quelli tedeschi. Anche se ci riuscissero, l'impatto sull'economia dell'area euro sarebbe pesante. La domanda interna (e dunque la crescita economica) sarà molto debole, incrementando la prospettiva di crisi di bilancio in diversi stati membri.
Invece di aspettare che agli altri torni la fame di prodotti made in Germany, i partiti politici tedeschi dovrebbero concentrarsi sul trovare soluzioni durevoli alla debolezza della domanda interna. Lasciare che la stagnazione persista equivale a scaricare sui vicini il peso della crisi, minando le prospettive economiche della Germania e dell'Europa.

Simon Tilford è chief economist presso il Centre for European Reform
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© FINANCIAL TIMES

2 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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