Cominciano da domani, per circa 100mila studenti, i test d'ammissione ai corsi universitari a numero chiuso. La loro selezione è uno dei fattori determinanti della qualità dei neolaureati che si affacceranno sul mercato del lavoro, per la maggior parte, fra 3-5 anni.
Si è molto discusso, recentemente, sulla qualità delle nostre università, spesso trascurando che essa è data dalla qualità dell'insegnamento e della ricerca (e delle strutture), ma anche dalla qualità degli studenti. Per incentivare la prima, l'iniziativa del ministro Gelmini di destinare una parte dei fondi pubblici in base alla didattica e alla ricerca è un passo avanti significativo, anche se timido. Per promuovere la qualità degli studenti, l'attuale sistema di selezione è il modo più sbagliato. Almeno per tre ragioni.
Anzitutto, si trascurano quasi completamente i risultati scolastici, che nella maggior parte degli altri paesi industriali sono invece un elemento decisivo della selezione: finora, il voto di maturità valeva solo in caso di parità di punti nel test, oggi conta per il 10% della valutazione totale. Un incentivo troppo modesto per far impegnare i ragazzi durante la scuola superiore.
In secondo luogo, uno studente che esca dalla maturità con il suo bravo 60, cioè il minimo, può comunque migliorare le sue chance di entrare a odontoiatria se sa che cos'è un dolmen, a medicina se può dire chi era il capo degli Ugonotti, ad architettura rispondendo a un paio di quesiti di filatelia (tutte domande tratte dalle simulazioni del sito del ministero accessoprogrammato.miur.it).
Le domande cosiddette di "cultura generale" sono la metà del totale. In Gran Bretagna, il cui sistema universitario è uno dei più apprezzati, si richiede invece agli aspiranti a medicina di arrivare dalla scuola superiore con i voti più alti possibili nelle scienze, a quelli che vogliono entrare ad architettura in matematica, fisica e storia dell'arte.
Infine, siccome l'esame è nazionale ma le graduatorie separate per ogni ateneo, la bocciatura in una sede esclude ogni altra possibilità, come illustra bene il caso - citato da un'inchiesta pubblicata sul Sole-24 Ore del Lunedì del 31 agosto - di un'aspirante a medicina bocciata a Genova con un punteggio che le avrebbe garantito l'ammissione in altre 17 sedi, dove quindi sono entrati studenti meno preparati di lei, almeno sulla base delle curiose domande proposte.
Per di più, il responso non arriva che a fine settembre. Se negativo, e poiché è impossibile rivolgersi ad altri atenei, costringe a cercarsi in extremis un'alternativa, per la quale lo studente ha minore predisposizione.
Negli Stati Uniti, dove il sistema universitario è sotto molti aspetti anni luce davanti al nostro, la caccia da parte delle università ai migliori studenti è quasi altrettanto spasmodica che quella ai migliori professori. In Italia, è affidata a una lotteria. Non c'è azienda che, per assumere un dipendente, userebbe lo stesso metodo.