Una banca centrale era così poco democratica e quindi unamerican, che la mente operativa dietro il progetto della Federal reserve, nel 1913, fu quella di un tedesco americanizzato, Paul Warburg, della dinastia dei banchieri di Amburgo. Storia lontana? Va di nuovo in scena oggi al Senato, dove la Commissione bancaria deve confermare la nomina di Ben Bernanke, 56 anni a giorni, alla presidenza Fed. La conferma di un rinnovo dopo la prima nomina nel 2005 da parte di George W. Bush e la seconda ad agosto 2009 decisa da Barack Obama.
Esistono due Bernanke. E dividono gli economisti. Nouriel Roubini è per una riconferma. Anna Schwartz, coautrice con Milton Friedman della famosa Storia monetaria degli Stati Uniti e custode dell'eredità del Nobel scomparso, è contro.
Al fianco del suo "maestro" Greenspan, Bernanke non ha visto arrivare i guai. «Non verifichiamo alcun preoccupante trasferimento di rischi alle banche e alle casse di risparmio derivante dai problemi nel mercato subprime», dichiarava nel maggio 2007, mentre già la miccia incandescente stava per arrivare al barile di polvere. Al momento del primo mandato, Bernanke dichiarava in Senato che «è possibile aspirare a essere il successore del presidente Greenspan, ma sarà impossibile poterlo sostituire davvero». Oggi Greenspan è un ultraottantenne che ha dovuto ammettere di essersi sbagliato e di avere avuto principi sbagliati.
Nello stesso tempo però, Bernanke è probabilmente l'uomo che più ha fatto per impedire che, dalla primavera 2008 in poi, il mondo precipitasse nel baratro di una depressione senza precedenti. «Bernanke può scegliere: o avere l'ampio ruolo riformista che fu negli anni Trenta del suo predecessore Marriner Eccles, o può adattarsi a fare la cheerleader per il settore finanziario, seguendo le orme screditate di Alan Greenspan», dice Simon Johnson, economista al Mit ed ex capo economista dell'Fmi.
Ci sono due temi nel dibattito sulle riforme finanziarie in corso negli Stati Uniti e altrove. Riguardano la dimensione delle banche e il mercato dei derivati. Può esistere una banca così grande da mettere a rischio il sistema in caso di fallimento? Non è bene impedire crescite abnormi? E se una banca sistemica rischia il fallimento, occorre salvarla? Il progetto di riforme della Casa Bianca identifica una categoria di banche too big to fail che va protetta, ha uno statuto speciale, ma rischia di distorcere il mercato, come dice l'ex governatore Fed, Paul A. Volcker. L'altro tema riguarda la liceità o meno del mercato "otc" dei derivati, over the counter, strettamente fra due contraenti, senza controlli, il più lucrativo per le banche, e il più pericoloso. Su entrambi i punti Bernanke non ha una posizione chiara.
Quello che i senatori gli contesteranno sono modi e costi degli interventi. Per quanto potenzialmente burrascosa, l'audizione difficilmente finirà con una bocciatura. Molti senatori faranno la voce grossa: gli elettori sono esasperati. Il presidente della commissione, il democratico Christopher Dodd del Connecticut, è il suo avversario nell'interrogatorio, ma solo sulla carta.
Al momento, su un totale di oltre 14mila miliardi di dollari messi in campo - non tutti spesi, spesso prestiti e garanzie - per combattere la crisi, 12.200 sono andati al settore finanziario e 1.820 all'economia e alle famiglie. Della fetta maggiore, poco meno della metà è gestita dalla Fed, che ha in mano il nerbo del pacchetto di salvataggio. Sono prestiti al sistema arrivati a un massimo di 8.224 miliardi e scesi per il rimborso a partire da marzo di alcuni prestiti e per la fine di alcuni programmi. Poiché il collaterale accettato per molti dei prestiti è di dubbio valore, alla fine ci sarà un costo vivo per la Fed, difficile da quantificare, ma consistente.
Diventata di fatto un braccio del Tesoro, di cui sottoscrive parte del debito come non faceva dal periodo postbellico, la Fed farà fatica a sottrarsi a controlli che ora il Congresso le vuole imporre (si veda l'editoriale di Luigi Zingales pubblicato sul Sole 24 Ore il 1° dicembre).
Tuttavia un episodio aiuta a capire come difficilmente Bernanke potrà essere torturato e come le responsabilità siano condivise. Con Christopher Dodd, per incominciare. Riguarda un codicillo inserito nel '91, alla chetichella e in fretta, e mentre i senatori stavano partendo per il Thanksgiving, e che allargava per la prima volta dal '53 alle finanziarie non-banche commerciali, quelle d'investimento per prime, la protezione della Fed. Dopo il crack di Borsa dell'ottobre '87, Wall Street aveva paura. Il suo avvocato di fiducia, Rodgin Cohen, si dava da fare. E Christopher Dodd metteva il codicillo che ha salvato Wall Street, usato 19 volte dal marzo 2008 (Bear Stearns), e costato alcune migliaia di miliardi di dollari.
Dodd, che deve affrontare a novembre 2010 una difficile rielezione in Connecticut, è autore di un progetto di riforma che non asseconda il desiderio della Fed, e del Tesoro, di vedere la banca centrale in posizione di preminenza nel rinnovato sistema di regolazione dei mercati. Il Congresso vuole imbrigliare la Fed. Il pubblico vuole sapere di più sugli impegni finanziari presi, come e perché. Teme per il dollaro. Spira un'aria populista nel paese, contro the best and the brightest. Secondo i programmi dell'amministrazione Obama, avallati dalla Fed, dovrebbe esserci una ripresa che i dati rilevano, ma l'occupazione no. In molti ricordano quando Bernanke, nell'aprile 2007, difendeva l'innovazione finanziaria che distribuisce meglio il rischio, diceva, e porta più stabilità. Non è andata così.
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