La Cina che torna al 10% di crescita. La Cina che sorpassa la Germania come più grande esportatore mondiale. La Cina che nel giro di 5-7 anni (la previsione del rapporto Ocse è di ieri) avrà una produzione industriale maggiore degli Stati Uniti. Siamo bombardati quasi quotidianamente dalle notizie sull'avanzata dell'economia cinese. Ma cosa significa per il resto del mondo quando Pechino cambia rotta alla politica economica? Il mese scorso è stata alzata la riserva obbligatoria per le banche e sono state annunciate alcune restrizioni temporanee al credito. Un aumento dei tassi d'interesse ufficiali è atteso nelle prossime settimane. C'è una stretta monetaria in corso, per ora molto graduale, diretta a placare il boom creditizio e contenere l'aumento dell'inflazione.
Un piccolo indizio di cosa rappresenta per l'economia mondiale è venuto ieri dall'Australia, paese molto legato all'andamento dell'economia cinese: la banca centrale ha interrotto i rialzi dei tassi, ritenendo che la stretta di Pechino basti a mettere un freno anche all'economia australiana. Altrove le ripercussioni di quel che accade in Cina forse non vanno esagerate: l'economia cinese resta l'8% di quella mondiale, contro il 25 degli Usa e il 22 dell'eurozona; anche se, come chiedono tutti, lo yuan dovesse rivalutarsi del 20%, ha calcolato ieri il capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, non servirebbe che a far aumentare l'export Usa dell'1 per cento. La Cina come importatore di beni occidentali è in crescita, ma è ancora relativamente piccolo.
L'effetto Cina non va però limitato a una fotografia statica. Basta vedere quel che è successo nelle scorse settimane sui mercati finanziari internazionali ai primi segnali di stretta a Pechino. In un clima ancora fragile, l'indicazione che il primo motore della crescita globale potrebbe rallentare (anzi, le autorità stesse vorrebbero farlo rallentare) ha suscitato non poche fibrillazioni.
Ma il vero canale di trasmissione della stretta cinese al resto del mondo possono essere i mercati delle materie prime. I dati dicono che la Cina è oggi il consumatore marginale di molte commodity. E, come ricorda Julian Jessop, di Capital Economics, l'anno scorso ha fatto incetta di scorte: quest'anno quindi la domanda potrebbe rallentare anche con una crescita economica a doppia cifra. Una stretta potrebbe accentuare la pressione al ribasso sui prezzi. Un esempio? Il rame, dove le notizie provenienti dalla Cina hanno già contribuito in modo decisivo alla caduta delle quotazioni delle ultime due settimane. Le ripercussioni sui paesi produttori di commodity - vicini, come l'Australia, ma anche lontani, come Brasile e Argentina - possono farsi sentire già nella seconda metà di quest'anno e quindi creare un effetto rallentamento in varie aree dell'economia globale.
Per fortuna, al contrario delle sollecitazioni dell'Occidente, Pechino è abituata a muoversi con i suoi tempi e ha fatto della gradualità una virtù.