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Il futuro dei media / La pubblicità finanzierà l'informazione online

di Ugo Tramballi

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03 febbraio 2010

Con i piedi sulla scrivania Jason Robards-Benjamin Bradlee legge l'articolo di Robert Redford-Bob Woodward. Un attimo di silenzio per quanto ce ne possa essere nella redazione del Washington Post del 1973: sottofondo di macchine da scrivere e rumore di telex. Poi Robards-Bradlee, il direttore, prende la decisione: «Tre fonti confermano la notizia. Pubblichiamola». Non è solo una scena di Tutti gli uomini del presidente. È un monumento al giornalismo americano e un memento a chiunque faccia ovunque il giornalista: verificare le fonti.

Macchine da scrivere e telex sono scomparsi da tempo: oggi le redazioni sono luoghi silenziosi. Il Washington Post che aveva costretto Nixon a dimettersi, sta andando piuttosto male: ha chiuso tutti gli uffici di corrispondenza. Quanto al controllo delle fonti non sembra un'esigenza fondamentale della nuova informazione: i siti web, la rete dei blogger e dei citizen journalists cercano immediatezza.

«Assolutamente no. Su accuratezza, equilibrio, originalità, le norme della nuova informazione si adattano alla migliore tradizione dei vecchi media». Fino a qui Arianna Huffington è equa con ciò che sta distruggendo. Poi ritorna nel ruolo di fondatore e direttore di Huffington Post, quello che lei definisce «il primo quotidiano su internet»: più di 19 milioni di visitatori la settimana, 3mila blogger. Dal 2005 Huffington Post è considerato il sito che sta dando una faccia nuova al giornalismo americano.

A Davos, al World Economic Forum di tre anni fa, l'editore del New York Times Arthur Sultzberger aveva annunciato la morte del suo giornale e di conseguenza dell'informazione cartacea entro il 2020. Arianna Huffington nata Stassianopulos ad Atene 59 anni fa (Huffington è il nome dell'ex marito milionario), è tornata sul luogo dell'annunciato delitto, partecipando a uno dei grandi e magmatici dibattiti del Forum: il futuro del giornalismo. È difficile dire se la decisione del New York Times di andare a pagamento sul web sia un atto di speranza o di disperazione. «Non so, preferisco parlare di cultura giornalistica», riflette Arianna nel suo albergo di Davos dove reporter col taccuino, antenne paraboliche delle tv, computer e twitter al seguito del Forum, sono una rappresentazione forse illusoria della convivenza di forme differenti di giornalismo, un villaggio comune per tribù diverse. «Penso che andare a pagamento sul web sia arretrato. È non capire la realtà digitale nella quale viviamo, il modo col quale la gente consuma le notizie. Io credo nella monetizzazione del web: Huffington Post è un'impresa economica. Ma è con la pubblicità che deve avvenire. La natura del web è essere libero e gratuito a meno che non vendi informazione specializzata per un numero di persone pronte a pagare».

Susan King, vicepresidente di Carnegie Corporation e direttrice di Journalism Initiative che ha l'ambizione di dare una preparazione più professionale agli studenti delle scuole di giornalismo di 12 università americane, pensa invece che monetizzare internet per salvare i giornali sia ancora «materia di dibattito». Tuttavia, Susan presenta numeri che non danno grandi speranze. «Dieci anni fa l'industria dei giornali faceva un 20% di profitti ora è in perdita. Nel 1971 negli Stati Uniti c'erano 40mila giornalisti, nel '92 60mila e ora di nuovo 40mila. L'industria editoriale così com'è oggi non può essere un modello per la nuova realtà del mercato». L'idea è che qualche giornale possa essere salvato ma in una specie di riserva. «Due, forse tre quotidiani - dice la vicepresidente di Carnegie - Ma nazionali e associati a qualche università o ente non profit». Lee Bollinger, presidente della Columbia University, avanza la possibilità che se ne occupi lo stato: il giornalismo di qualità non come valore di mercato ma come monumento nazionale.

«Sono contraria - Arianna Huffington è una liberal, più o meno come il suo Post - Ma l'idea che lo stato possa salvare il giornalismo è qualcosa che non esiste». Il giornalismo deve attraversare il potere mantenendo la sua indipendenza, sostiene. Dovrebbe sapere anche lei che senza soldi l'indipendenza non esiste. «Ma non c'è un solo modello di giornalismo – risponde - Il nostro è basato sulla pubblicità. Il giornalismo investigativo sarà finanziato dalle università o da quelle istituzioni interessate a salvaguardare come bene pubblico il giornalismo di qualità». Di nuovo il monumento nazionale, qualcosa che non serve più ma è un peccato perdere. Il mantra di Arianna, confortato dalle cifre, è: «La pubblicità si muove verso il web». Anche il New York Times può dunque andare gratis sul web e competere in pubblicità con Huffington Post. «Ma il suo successo dipende anche dall'eredità dei costi che si porta dietro un giornale così grande. Forse altri giornali potrebbero farcela».

03 febbraio 2010
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