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STORIE / Se anche i tedeschi diventano evasori

di Beda Romano

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03 febbraio 2010

C'è l'impiegata delle pulizie che dichiara quattro ore di lavoro anziché sei. C'è l'artigiano che quando può non emette la fattura. C'è l'operaio che afferma di lavorare otto ore al giorno, quando in realtà ne trascorre dieci in un cantiere edile. Chi ha detto che nella Repubblica Federale domina sempre e comunque l'onestà fiscale? Anche la Germania deve fare i conti con l'economia in nero: i ricchi risparmiatori con il conto in Svizzera o nel Liechtenstein sono solo un tassello di un mosaico più grande.

L'apparizione di una lista di 1.500 cittadini tedeschi, presunti titolari di un conto nella Confederazione, ha riportato improvvisamente alla luce la questione dell'evasione fiscale in Germania: la piaga è meno acuta che in altri paesi europei, come la Grecia o l'Italia, ma più significativa di quanto si immagini. Secondo un rapporto dell'Istituto di ricerca economica applicata Iaw di Tubinga, l'economia in nero nella Repubblica Federale pesava per il 14,6% del prodotto interno lordo tedesco nel 2009. E crescerà ulteriormente nel 2010.

«Da alcuni anni ormai l'economia sommersa in Germania ha un peso superiore alla media dei paesi dell'Ocse – spiega Friedrich Schneider, professore all'Università di Linz e coautore del rapporto pubblicato nei giorni scorsi – stimiamo che nel 2010 il previsto incremento della disoccupazione provocherà un ulteriore aumento di questo fenomeno. Sì, perché in tempi di crisi il lavoro in nero aumenta in tutti i paesi, e in particolare in quelli molto regolamentati».
Nella sua relazione, l'istituto Iaw sostiene che l'economia-ombra quest'anno supererà i 359 miliardi di euro, in crescita del 2% rispetto al 2009. C'era un tempo in cui l'economia parallela era una tendenza inesistente o quasi in Germania: nel 1975, per esempio, pesava per meno del 6% del prodotto interno lordo.

Nel corso dei decenni, prima la grave crisi petrolifera, poi l'aumento progressivo della pressione fiscale e l'incremento dei contributi sanitari e pensionistici hanno scatenato un circolo vizioso. Secondo il professor Schneider infatti, a facilitare la presenza dell'economia sommersa sono la tassazione elevata e la forte regolamentazione del mercato del lavoro.

Il picco è stato toccato nel 2003 quando l'economia in nero ammontava in Germania al 17,1% del Pil. Le riforme del mercato del lavoro, introdotte dall'allora cancelliere Gerhard Schröder, hanno comportato un calo del lavoro in nero. Tra le altre cose, il governo socialdemocratico-verde liberalizzò molte professioni, facendo emergere l'occupazione sommersa. Da allora, però, la situazione in generale è peggiorata, in parte anche a causa di una politica meno liberale da parte della grande coalizione democristiana-socialdemocratica, uscita di scena nel 2009.
Di recente, Sebastian Kubsch, analista di Deutsche Bank, notava, un po' provocatorio, che dopotutto l'economia-ombra può anche rivelarsi un ammortizzatore sociale in tempi di recessione, dati economici alla mano. Certo, non è un ragionamento che convince Wolfgang Schäuble: il ministro delle Finanze ha annunciato la settimana scorsa - poco prima che scoppiasse la vicenda dei conti correnti di cittadini tedeschi in Svizzera - l'impiego di 200 nuovi funzionari nella lotta contro il lavoro nero: l'unità di Finanzkontrolle Schwarzarbeit avrà quindi da ora in poi 6.700 dipendenti.

03 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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