L'anno II della Grande Recessione ha trovato in Italia una piccola trincea di 150 tavoli. Quelli creati dal ministero dello Sviluppo per arginare le crisi industriali nostrane e far sperare i 300mila lavoratori coinvolti. Claudio Scajola ne ha dato notizia ieri, e non fatichiamo a risconoscere con lui «che il raffronto con l'estero dimostra la bontà delle strategie messe in campo». Per antica tradizione, infatti, l'Italia ha fatto dei tavoli qualcosa in più di un metodo, quasi un modello. Ben prima che dal luglio '93 la parola concertazione diventasse il mantra delle relazioni industriali, il dialogo a tre fra le parti sociali e il governo ha garantito un parabordo utile a frenare le crisi e i loro potenziali squarci sociali, difendendo meglio che in altri paesi il capofamiglia maschio - spesso unico percettore di reddito - dal rischio di perdere lavoro e reddito. Oggi però il fordismo è tramontato, la famiglia non è quella dei tempi di Carosello e il welfare va aggiornato. Come? Con una vera, organica riforma degli ammortizzatori sociali, che serva non solo a prevenire le uscite, ma anche a favorire gli ingressi nel mercato del lavoro, come avviene in gran parte d'Europa. Da ligure, lo sa bene anche il ministro Scajola: i parabordi servono, ma non bastano a fare ripartire le barche.