Non s'era ancora spenta l'eco dei mortaretti di Capodanno che già era pronto un botto che nemmeno "'a capata di Zidane" (fuoco d'artificio in vendita quest'anno a Napoli) avrebbe potuto eguagliare. Centinaia di milioni di euro di danni richiesti dal Codacons a Unicredit e Intesa per presunte violazioni delle regole sulla commissione di massimo scoperto. È la class action, bellezza.
Dal 1° gennaio è difatti entrata in vigore nel nostro ordinamento l'azione collettiva, attraverso la quale tutti coloro che si sentono danneggiati da specifici comportamenti commerciali scorretti possono aderire a un'iniziativa giudiziaria di un singolo (in genere, come dimostra il botto, un'associazione di consumatori) contro l'autore. In caso di vittoria il risarcimento del danno va a tutti i danneggiati che hanno partecipato alla causa.
Le regole sono abbastanza complesse (per approfondirle si veda Il Sole 24 Ore del 21 dicembre 2009) ma cerchiamo di capire se la class action Italian style sarà o meno benefica. Le azioni collettive nascono infatti per rendere più efficiente il sistema economico. Poniamo che un'impresa provochi un danno di 10 euro a mille consumatori: il sistema economico ha una allocazione inefficiente di risorse di 10mila euro. Tuttavia, se venissero intentate mille cause e ognuna costasse mille euro, a prescindere da ragioni e torti, la perdita complessiva sarebbe di un milione. La class action abbassa questi costi (detti di transazione) riunendo tutte le doglianze in un solo procedimento, agisce da deterrente e sostituisce l'iniziativa privata alla "repressione" pubblica. Tutto bene? Sì e no. Negli Usa troppo spesso le class action sono diventate un'attività imprenditoriale di avvocati che ne cominciano a tutto spiano (anche frivole) contando sul fatto che le imprese, per evitare i costi legali (ogni parte si paga le sue spese pure in caso di vittoria) arrivino a un accordo stragiudiziale che premi soprattutto ...gli avvocati.
In Italia abbiamo scongiurato questi difetti? In parte sì: prima di tutto è stata saggiamente scartata l'ipotesi di esclusiva ad agire a favore delle associazioni dei consumatori le quali, non rischiando niente in proprio, avrebbero potuto fare peggio dei più arditi avvocati americani. Inoltre, vi sono filtri giurisdizionali (bocciatura immediata per richieste manifestamente infondate, permanenza del principio che chi perde paga, competenza accentrata in pochi tribunali) che dovrebbero evitare azioni temerarie.
Rimane qualche punto di dubbio: il primo è una sovrapposizione sulle stesse materie (pratiche commerciali scorrette e concorrenza) di autorità pubbliche come l'Antitrust e le altre agenzie indipendenti. Si rischia di punire le imprese due volte, con i risarcimenti e le sanzioni amministrative su questioni che riguardano il diritto privato. Potrebbero poi crearsi sullo stesso caso giudicati diversi, quello del tribunale che sentenzia sulla class action e il Tar competente per i reclami all'Antitrust. Infine, c'è ancora una sproporzione tra il potere nelle mani delle associazioni dei consumatori (peraltro finanziate dallo stato) e le loro responsabilità (una loro sconfitta verrà pagata in parte dal contribuente e certamente non dai loro dirigenti).
Ciò detto, auspicabilmente la class action eviterà la farsa delle migliaia di cause (tipo quelle sulla Rca auto) il cui costo è molte volte superiore ai risarcimenti ottenuti e terrà sotto scacco chi si approfitta troppo dell'inerzia dei consumatori oggi finalmente dotati del loro strumento di lotta di class.