Un giorno il titolo era «La mafia ha investito su Milano 2». Il giorno dopo: «Dell'Utri trattava con Provenzano». Nei mesi scorsi il menù ha offerto ampie possibilità di scelta secondo gusti e preferenze. Massimo Ciancimino non si risparmia. Gran dichiaratore, con un senso spiccato per la notizia. Fonti investigative lo descrivono come una persona psicologicamente fragile, tormentata, ricattabile. Su di lui, poi, pesa una condanna in secondo grado a tre anni per riciclaggio. Non proprio un esempio di credibilità. Ma sarà la magistratura a separare il vero dal falso. E l'auspicio è che lo faccia con serietà (ovvio) e rapidità (purtroppo meno ovvio). Se da un anno, però, sulle sue dichiarazioni sembrano giocarsi i destini della repubblica, c'è una malattia che va oltre quelle parole. La storia di Ciancimino il gran-dichiaratore è anche e soprattutto questa: la storia di un paese che guarda male al suo passato, sempre diviso tra i sensi di colpa, da una parte, e la mania del complottismo dall'altra. Che non riesce a respirare nel futuro, perché ha sempre paura dell'olezzo che viene dal passato.