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La storia di altri paesi in difficoltà della zona euro differisce soltanto per entità, non per principio. Tutti sono fortemente indebitati: prima fonte del contagio finanziario. La Spagna, come l'Irlanda, ha una considerevole esposizione pubblica nel settore bancario, risultante dall'indebitamento per i mutui. Il suo modello di sviluppo - nel quale il settore immobiliare in ambito residenziale è sostenuto da un boom dei prezzi degli immobili - è morto e sepolto.
Anche la Spagna necessita di consolidamento fiscale e di riforme strutturali se intende ripristinare la sostenibilità del debito, rafforzare la crescita e ridurre il suo tasso di disoccupazione arrivato al 20%. Il governo italiano è anch'esso fortemente indebitato, quindi deve a sua volta tagliare le spese e riguadagnare competitività. Il Portogallo necessita urgentemente di riforme strutturali per ristabilire il suo dinamismo economico e il suo benessere fiscale.
La Grecia, quindi, è la linea del fronte di una battaglia più grande, che si sta combattendo per restare sulla strada imposta dall'Unione monetaria europea. L'impegno politico nei confronti della zona euro di ogni paese che si trova con la pistola alla tempia è incrollabile: è sufficiente osservare i consistenti tagli al bilancio dell'Irlanda, la dolorosa deflazione portoghese, il brusco aggiustamento di paesi aspiranti a entrare nell'euro quali Lettonia o Ungheria. La mancanza di un'unione politica e fiscale, la limitata mobilità della manodopera rispetto ai liberi spostamenti di capitale rendono questi aggiustamenti decisivi per la vitalità economica a lungo termine della zona euro.
Idealmente, si dovrebbero sviluppare regole ufficiali per la ripartizione delle responsabilità fiscali per dare efficacia alla clausola di non salvataggio di un paese, quali i meccanismi di ristrutturazione del debito sovrano della zona euro. In caso contrario, i dubbi sulla sostenibilità dell'Unione monetaria europea si ripresenteranno a ogni recessione. E prima o poi questi dubbi potrebbero essere confermati.
© 2010 The Financial Times
(Traduzione di Anna Bissanti)