ITALIA

 
 
 

 

Proposte e non solo divieti

di Fulvio Irace

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4 gennaio 2010


Da venerdì è scattata "l'ora X" per la nuova legge sulla tutela del paesaggio. Non è sbagliato chiedersi cosa ci si possa aspettare da questa mini-rivoluzione, che rende operativi i propositi di tutela del codice dei beni culturali e del paesaggio (il cosiddetto codice Urbani), e quali prospettive si aprano concretamente per il nostro martoriato ma ancora salvabile territorio.

Tra le regole appena entrate in vigore riveste un'importanza centrale la nuova attribuzione di competenze in materia di autorizzazioni paesistiche e pianificazione paesaggistica: se in precedenza tra i soggetti competenti figuravano le regioni e le soprintendenze con la possibilità di annullare le autorizzazioni, con le nuove norme queste ultime sono chiamate a formulare un parere vincolante che possibilmente dia certezza sui tempi e risposte preventive alle iniziative di project financing.

Un ruolo assolutamente centrale, dunque. Che però sembra mettere d'accordo sia i beni culturali sia i costruttori, che sottolineano il giro di boa voluto per la figura del soprintendente che smette, finalmente, la giacca di "signor no".
Alle soprintendenze viene infatti attribuita una funzione propulsiva e non più di vincolo a iniziative già avviate, quanto piuttosto di autorizzazione preventiva per un'azione coordinata tra progettisti, enti pubblici e privati e promotori finanziari.

Lo conferma a chiare lettere, ad esempio, Carla Di Francesco, attuale direttore regionale per i Beni culturali dell'Emilia Romagna, che aveva ricoperto fino a due anni fa lo stesso incarico per la Lombardia, in uno dei momenti cruciali per la storia dello sviluppo di questa regione.
E lo sottolinea anche il presidente di Ance Milano, Claudio De Albertis. Che tuttavia avverte come il vero problema sia quello di rivedere il concetto di tutela imperniato esclusivamente sulla conservazione e assicurare una formazione dei funzionari che tenga conto del dibattito contemporaneo, così da non essere arroccata su una visione solamente proibitiva. Anche attraverso confronti sul tema, conferenze, tavoli di discussione e iniziative pubbliche come quelli promossi dalla stessa Ance.

Il problema, dunque, prima di essere normativo è culturale; non a caso la nuova legge recepisce le direttive europee sulla definizione del paesaggio, che viene integrata con quella di «identità nazionale» e di «rappresentazione materiale e visibile». La preoccupazione, se mai, riguarda la maniera in cui questa nozione allargata verrà recepita anche dai progettisti cui compete professionalmente l'obbligo di redigere la relazione paesaggistica destinata ad accompagnare la richiesta di autorizzazione dei progetti di intervento in ambito vincolato. Tant'è che alcune regioni, come ad esempio la Lombardia, hanno cominciato a organizzare con università e ordini professionali corsi di formazione per esperti ambientali da inserire nelle commissioni edilizie integrate, mentre istituti universitari di ricerca ed enti culturali, come l'Inu, Legambiente e il Politecnico di Milano, hanno varato l'Osservatorio nazionale sui consumi di suolo, con l'intenzione di rimettere in agenda il tema sostanziale sotteso a ogni problema di valorizzazione e tutela: la questione del "suolo" e del suo utilizzo.

Se da una parte infatti si accumulano le iniziative sulla trasformazione dei territori e delle aree urbane come motori di sviluppo economico e di potenziamento delle risorse, dall'altra appare evidente la sottovalutazione del suolo come risorsa finita. Non a caso, l'osservazione e il monitoraggio del fenomeno – come dice il presidente dell'Inu, Federico Oliva – sono ancora oggi privi dei più basilari armamentari di analisi e di ricerca, in assenza di dati affidabili e di una reale possibilità di confrontarli e "montarli" in un ordine che dia il senso delle reali trasformazioni del Paese e dei suoi bisogni.

L'idea che la terra non sia un "dono" ma il frutto – precario – di secoli di fatica e di impegno dell'uomo ci coglie impreparati, come di fronte ai dissesti geologici e ambientali che anche in queste ore stanno frantumando l'Italia.

Proprio per questo, la necessità di stabilire un patto è cruciale al pari di quella di creare condizioni e strutture perché ciò avvenga. Le condizioni, con il varo delle nuove norme, sembrerebbero esserci. Mancano ancora però, le strutture, che devono essere potenziate attribuendo più risorse alle soprintendenze, chiamate a svolgere la funzione di ago della bilancia.

4 gennaio 2010
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