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Cari politici attenti al debito

di Kenneth Rogoff (Professore Harvard University)

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4 settembre 2009

T utti, dalla regina d'Inghilterra agli operai di Detroit licenziati, vogliono sapere perché tutti questi esperti non hanno previsto la crisi finanziaria incipiente. È una domanda spinosa. Come possono i politici essere tanto sicuri che la catastrofe finanziaria non si ripeterà presto quando, apparentemente, non avevano il minimo sentore dell'arrivo di una crisi di questa portata? La risposta non è granché rassicurante. Essenzialmente, il rischio che la crisi finanziaria sia semplicemente in ibernazione e si trasmuti lentamente in crisi del debito pubblico è ancora presente.
Nel bene o nel male, la ragione per cui quasi tutti gli investitori oggi sono molto più fiduciosi rispetto a qualche mese fa è che i governi di tutto il mondo hanno steso una grande rete di sicurezza sotto buona parte del sistema finanziario, e al tempo stesso hanno puntellato l'economia aprendo i cordoni della borsa, mentre le banche centrali hanno tagliato i tassi di interesse fin quasi allo zero.

Ma una spesa pubblica indiscriminata può essere la risposta decisiva? Il puntello pubblico funziona perché le tasche dei contribuenti sono ben fornite, ma a un certo punto anche quelle si svuoteranno. E quando nei guai finisce lo stato, specialmente se è uno stato grande, non c'è puntello che tenga. Con il debito pubblico che ha raggiunto in tutto il mondo livelli che di solito vengono toccati solo in seguito a una guerra, è evidente che la strategia attuale non è sostenibile. Se questa strada è insostenibile, fino a quando potremo continuare ad accumulare debito? Non lo sappiamo. Gli studiosi di economia hanno sviluppato strumenti utili per capire quali economie sono più vulnerabili a una crisi finanziaria. Ma conoscere il momento esatto in cui la crisi si presenterà è praticamente impossibile.
I nostri modelli dimostrano che anche un'economia pesantemente indebitata può, in teoria, tirare avanti per anni, perfino decenni, prima di crollare e andare in pezzi. È tutta una questione di fiducia e coordinamento delle aspettative, che dipendono, a loro volta, dai capricci della natura umana. E dunque possiamo indicare quali sono i paesi più vulnerabili, ma specificare esattamente dove e quando scoppieranno le crisi è praticamente impossibile.

È come per gli attacchi cardiaci. Una persona obesa, con la pressione e il colesterolo alti, statisticamente ha molte più probabilità di avere un infarto o un ictus grave rispetto a una persona che non presenta nessuno di questi fattori di vulnerabilità. Eppure i soggetti ad alto rischio spesso vanno avanti per decenni senza avere problemi. E contemporaneamente anche le persone che sembrano essere "a basso rischio" sono esposte ad attacchi di cuore.
Naturalmente, un attento monitoraggio procura informazioni potenzialmente molto utili per prevenire gli attacchi cardiaci. Ma in definitiva tutto questo serve solo se l'individuo è sotto cura, e magari se modifica seriamente il proprio stile di vita. Lo stesso vale per i sistemi finanziari. Un buon monitoraggio fornisce informazioni che risultano utili solo se c'è una reazione. Purtroppo viviamo in un mondo dove il sistema politico e legislativo spesso è molto debole e miope.

In realtà nessuna economia è immune alle crisi finanziarie, per quanto i leader politici e gli investitori cerchino di convincersi del contrario, come abbiamo dimostrato Carmen Reinhart ed io nel nostro nuovo libro, ironicamente intitolato This Time is Different: Eight Centuries of Financial Folly («Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria»). Ora, l'ultima incarnazione di questa follia è quella che afferma che tutti noialtri, poiché i governi si sono accollati per intero il debito, non abbiamo motivo di preoccuparci.
Riceviamo costantemente rassicurazioni sul fatto che i governi riusciranno a onorare il loro debito. In realtà, i governi, in tutto il mondo, vanno in default con allarmante regolarità, o direttamente o attraverso l'inflazione. Perfino gli Stati Uniti hanno significativamente svalutato il loro debito attraverso l'inflazione negli anni 70, e negli anni 30 hanno deprezzato il valore aureo del dollaro da 20 a 34 dollari l'oncia.

Per il momento, la buona notizia è che finché lo stato conserverà credito la crisi sarà contenuta. La cattiva notizia è che il ritmo con cui sta crescendo il debito pubblico potrebbe facilmente portare a una seconda ondata di crisi finanziarie nel giro di pochi anni. La cosa più preoccupante è l'enorme dipendenza degli Stati Uniti dai prestiti dall'estero, in particolare dalla Cina, uno squilibrio che probabilmente è alla base della crisi attuale. Gli asiatici sono consapevoli che se continuano ad accumulare titoli di credito rischiano di fare la stessa fine che fecero gli europei trent'anni fa, quando accumularono titoli di stato Usa poi drammaticamente svalutati dall'inflazione.
L'interrogativo oggi non è perché nessuno avverte dell'arrivo di un'altra crisi: questo lo stanno facendo. L'interrogativo è se i leader politici staranno a sentire o no. Lo svilupparsi di livelli di deficit insostenibili per i conti pubblici dei vari governi è un problema fondamentale, che i leader del G-20 dovranno porsi quando si riuniranno a Pittsburgh questo mese. La regina Elisabetta II e gli operai di Detroit torneranno a chiedere perché nessuno li ha avvisati di quello che stava succedendo.

Copyright: Project Syndicate, 2009
(Traduzione di Gaia Seller)

4 settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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