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GOVERNANCE GLOBALE / Quelle élite che navigano a vista

di Mario Margiocco

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05 febbraio 2010

Ci sono conversazioni che sembrano talmente a 360 gradi da non avere un filo conduttore. Ma quella che la redazione del Sole 24 Ore ha avuto due giorni fa con Moisés Naím, direttore di Foreign Policy e opinion leader internazionale, può essere ripresa da un bandolo preciso, due al massimo, e ricondotta a unità, perché le idee di fondo sono chiare e convergenti. Ieri ne abbiamo dato un resoconto brevemente stenografico. Ma vale la pena di aggiungere alcune annotazioni.

Dal suo osservatorio di Foreign Policy, autorevole bimensile e think tank di strategia globale che Naím guida dal '96 e che da un anno fa parte della scuderia Washington Post/Slate, Naím vede oggi dominante su tutto uno stato d'animo, un fenomeno preciso, che una parte dell'umanità vive e un'altra no: l'ottimismo dell'Asia. La persona più ottimista della terra oggi è il giovane asiatico, o meglio, la giovane asiatica di 20 anni, cinese o vietnamita, che lavora in fabbrica e sente con tutto il suo essere che la vita è, sarà, non potrà non essere meravigliosa. Il passato è chiuso, resta solo il futuro.

«I giovani asiatici sono i più ottimisti del mondo», osserva Naím, che vede notevoli differenze con la gioventù d'Europa e d'America, più prudente e, a voler essere ottimisti, riflessiva.
Se si parte da questo dato di fatto, non è poi così importante valutare esattamente a che punto è la sfida asiatica e fino a che punto si è già spostato e si sposterà il baricentro del mondo. L'angolo d'osservazione è diverso e la vera forza capace di smuovere la geopolitica sono i giovani asiatici.

Un altro punto fondamentale, e di particolare interesse economico, è la visione di quanto accaduto sui mercati finanziari. Naím nutre scetticismo sulla capacità degli stati di mettere le briglie a un sistema finanziario ombra cresciuto ormai più di quello bancario tradizionale. «La domanda di azioni collettive cresce, ma la capacità delle élite di offrirne diminuisce, e questo sarà valido anche per le regole finanziarie», dice Naím, che vede in arrivo tre blocchi normativi con varie similitudini ma per nulla coincidenti: quello americano, quello europeo e quello asiatico. Ed è negli interstizi fra questi tre diversi regolamenti che nasceranno le nuove avventure finanziarie, con innovazioni utili e rischi pericolosi.

«L'arbitraggio tra un sistema e l'altro, scoprire cioè dove conviene di più fare certe operazioni, offrirà lauti guadagni», dice Naím che non è convinto che la crisi possa rappresentare davvero una svolta verso mercati più stabili.

«Dopo le crisi latinoamericane degli anni 80 e 90 e soprattutto dopo la crisi asiatica del '97-98, venivano dette esattamente le cose che si dicono oggi: più rigore, meno debiti, più controlli e così via». Ma proprio lì, sulle ceneri di quelle crisi e ispirandosi ad azioni adottate o tollerate per fronteggiarle, il sistema finanziario ombra, fatto di hedge fund o vulture fund e finanziarie di ogni tipo e operazioni off balance di grandi banche, ha potuto prosperare, fin troppo. È difficile che sia finita, anche dopo il 2008, sostiene Naím.

Come sta rispondendo la comunità internazionale a questi rischi? Il terzo bandolo che consente di risalire al centro della questione è, nella visione di Naím, l'inadeguatezza delle classi dirigenti, che da tempo offrono meno di quanto la situazione richiederebbe.
Si direbbe che al deficit d'ottimismo dei giovani occidentali corrisponda un'analoga mancanza di fiducia e lungimiranza da parte dei loro politici. «C'è un po' ovunque la sensazione che o non c'è il pilota a bordo, o non sa pilotare bene, o non ha le risorse necessarie per tenere bene la rotta». Al momento molti occhi sono puntati sugli Stati Uniti, nel tentativo di capire se Obama riprende quota dopo un primo anno difficile e, in parte almeno, deludente. Ma gli europei dovrebbero tenere gli occhi anche sull'Europa.

Tra i collaboratori assidui di Foreign Policy, il Nobel Robert Fogel, da sempre molto ottimista sulle possibilità cinesi quasi come una ventenne di Shanghai (Fogel ha 80 anni), traccia con l'ultimo numero alcuni piccoli scenari su cui riflettere, dice Naím. Fogel (si vede un ampio stralcio del suo articolo a pag. 8) prevede che nel 2040 il cinese urbanizzato avrà una ricchezza media pari al doppio di quella del francese medio, e quindi dell'italiano medio visto che Francia e Italia hanno una ricchezza familiare assolutamente analoga. Fogel aggiunge che in 30 anni il peso dell'Europa nell'economia mondiale scenderà dal 21 a un incredibile 5 per cento. Per colpa della demografia, della micidiale combinazione tra invecchiamento della popolazione e abbassamento del tasso di fertilità. Il tutto aggravato, continua Fogel, da una cultura troppo rilassata, e con poche aspirazioni. L'opposto della ventenne cinese.

Naím non sottoscrive necessariamente, ma ha pubblicato le previsioni come elemento di riflessione. Per fortuna la stessa Foreign Policy ha chiesto a un altro collaboratore di fare il controcanto, ricordando che avere 1,4 miliardi di cinesi che fra 30 anni guadagneranno in media 85mila dollari di oggi è impossibile perché la Terra esploderebbe. E così potrebbe essere difficile per l'Europa ridursi a un peso economico appena doppio di quello che è oggi l'insignificante peso africano.

05 febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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