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PIT STOP / Il pop di Brunetta non suonerà per le riforme

di Guido Gentili

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05 gennaio 2010

Nonostante sia over 60, discutere di riforma della Costituzione continua ad essere un esercizio difficile. Perché la retorica della Carta "sempre attuale" cementifica un muro di sospetti ogni volta che qualcuno propone anche solo di avviare la discussione sulla "prima parte", quella che affronta anche i "rapporti economici". Perché il confronto procede in modo estemporaneo, all'insegna di un riformismo pop. Perché, infine, a fronte delle tante voci che si levano per difendere "questa" Costituzione, è generalizzato il silenzio politico (se si fa eccezione per i radicali e qualche studioso) sui punti in cui la Carta è stata in sessant'anni di vita inattuata e tradita.

Un esempio di riformismo pop è quello fornito dal ministro Renato Brunetta quando osserva che l'articolo 1 («L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro») è da cambiare e «non significa assolutamente nulla».
Ora, può anche aver ragione il collega di governo Roberto Calderoli quando osserva che «a voler far tutto si rischia il nulla», ma non è questo il punto. Quel «fondata sul lavoro» è il frutto della mediazione voluta nel 1947 da Amintore Fanfani rispetto all'ipotesi di Palmiro Togliatti («repubblica dei lavoratori») contrapposta a quella del tandem Ugo La Malfa-Gaetano Martino («fondata sui diritti della libertà e i diritti del lavoro»). Qualcosa, insomma, «quel fondata sul lavoro» significa sul piano storico, e ancorché si tratti di un compromesso da cui è uscita perdente la cultura liberale, non si può liquidare il tutto come una resa ai "comunisti".
Peraltro, l'articolo 1 è già oggetto di un progetto di revisione costituzionale presentato dalla senatrice Donatella Poretti, radicale eletta nelle liste del Pd, che mette in evidenza la genericità del riferimento al lavoro (cambiato alla radice in sessant'anni) e suggerisce una versione giustamente più attenta alla persona: «La repubblica italiana è uno stato democratico di diritto fondato sulla libertà e sul rispetto della persona».

Dalla sinistra, due chiusure e mezzo sulla riforma dell'articolo 1. Antonio Di Pietro: «Solito disegno di stampo piduista». La Cgil: «Bordata eversiva». Mentre il capogruppo al Senato del Pd, Anna Finocchiaro, ha ricordato a Brunetta che la Corte costituzionale ha già dichiarato intoccabile la "prima parte" della Carta. Per l'esattezza, la Corte nel 1988 ha affermato che la Costituzione contiene alcuni «principi supremi» che non possono essere modificati neppure da leggi di revisione costituzionale, ma il riferimento ai «principi supremi» va al capitolo dei «principi fondamentali», cioè ai primi 12 articoli della Carta. Dunque, se è molto difficile cambiare l'articolo 1, non altrettanto potrebbe dirsi in via di principio, seguendo una bussola più moderna e liberale, sulla "prima parte", seguendo la revisione prevista dall'articolo 138.
Ma la "prima parte" non si tocca, è il coro generale compresi i presidenti di Camera e Senato. E però bisognerebbe anche dire che la Costituzione "sempre attuale" non ha mai applicato la disciplina da essa stessa prevista per partiti e sindacati, né ha impedito il dilagare del lavoro nero e del parassitismo fondato sulla spesa e sul debito pubblico. Per non dire dello stato in cui è precipitata la giustizia, penale e civile. Il confronto è difficile, ma si potrebbe cominciare col dire la verità.

05 gennaio 2010
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