Siamo da sempre appassionati di federalismo e sussidiarietà. Istituzioni più vicine ai cittadini, scelte locali anziché calate dall'alto, con effettivo esercizio della responsabilità e i politici vicini ai governati e dunque più controllabili.
Se però, come sembrerebbe dimostrare il corso della campagna elettorale cui stiamo assistendo, la discussione sul nucleare o sulle grandi opere, le tanto necessarie al rilancio della nostra economia infrastrutture, diventa l'ennesima rincorsa tra partiti del nimby ("non nel mio giardino") ben venga un ritorno al centralismo.
La sussidiarietà efficiente non è lo scaricabarile tra territori, ma quella dell'assuzione di responsabilità delle scelte strategiche. Nel caso delle decisione sui prossimi siti nucleari, per esempio, sarà inevitabile affidarsi alle scelte "romane". Come del resto prevede la legge. Perché abbiamo la sensazione che una sindrome nata a sinistra, sì a Roma e no sul territorio (vedi Tav), sia replicata con gusto ora a destra: da Palazzo Chigi impegni sul nucleare e candidati governatori di Lega e Pdl vestiti da «nucleare? no grazie» come figli dei fiori, appassiti.