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Mercati speculativi. Quando la finanza perde il pelo ma non il vizio

di Fabio Tamburini

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6 febbraio 2010

A volte ritornano. La sbandata dei mercati azionari ha diverse motivazioni, tutte spiegate ampiamente sulle pagine dei giornali. I timori sulla tenuta di paesi europei come Spagna e Portogallo, l'ammontare elevato del debito degli stati a partire da quello americano, l'allarme occupazione. Ma c'è una ragione in più che merita di essere considerata con attenzione. Anche perché, in assenza di rimedi, resterà sospesa come una spada di Damocle su ogni possibile ripresa economica.

La certezza, ormai acquisita, è che, passata la grande paura del grande crollo, il ritorno al passato è nei fatti dei comportamenti delle principali banche d'affari anglosassoni. Esattamente come negli anni d'oro dei mercati che hanno preceduto la stangata del luglio 2007, la finanza è ridiventata padrona pressoché incontrastata del campo. E i tre big sopravvissuti hanno ricominciato a macinare utili clamorosi, grazie a operazioni finanziarie speculative sulle materie prime (a partire dal petrolio), sui derivati, sulle valute e quant'altro.
Goldman Sachs e JP Morgan soprattutto, ma anche Morgan Stanley, sono in prima fila e non perdono un colpo. Tanto attivismo ha come argine soltanto le sortite che, con cadenza più o meno quindicinale, ha preso l'abitudine di fare il presidente Barack Obama. Emblematico l'attacco a quelli che Obama ha definito con una battuta i "Fat cats", i "gatti grassi" di Wall Street. Certo le speculazioni su larga scala hanno l'effetto positivo di ridare fiato al sistema americano. Ma giustificano l'opinione, sempre più diffusa, che si siano create condizioni per l'arrivo di una stangata numero due. Una corrente di opinione che comincia ad avere sostenitori convinti. In Italia, per esempio, la pensano così osservatori attenti dei mercati come il professor Guido Rossi, finanzieri esperti come Francesco Micheli, consulenti d'impresa e gestori di private equity come Gianfilippo Cuneo.

In realtà, a parte le disavventure dei mercati azionari negli ultimi giorni, la vita dei "Fat cats" si preannuncia dura. Fuori discussione è che possono contare su legami radicati nel tempo con la Federal riserve (che peraltro dovrebbe controllarli). Tuttavia è altrettanto vero che il nodo cruciale è quello dei rapporti con la Casa Bianca. Il benessere delle principali banche d'affari è ancora il benessere degli Stati Uniti? Oppure il presidente Obama ha deciso di prendere altre strade? Lo fa ritenere, in particolare, il ruolo chiave assunto dall'economista Paul Volcker, presidente del comitato consuntivo per il miglioramento della situazione economica e principale sponsor della legge in arrivo per il regolamento delle attività bancarie in corso d'approvazione, una normativa che lega le mani ai principali banchieri. Proprio l'approvazione definitiva della legge bancaria, insieme alle vicende delle prossime settimane, permetterà di avere un quadro ancora più chiaro.

Intanto la mina derivati è di nuovo innescata. A partire dai Credit default swaps (Cds), che ne rappresentano uno dei filoni più consistenti. Gli strumenti d'assicurazione sull'insolvenza del debito stanno conoscendo una vera rinascita, trascinati dal peggioramento dei conti pubblici nazionali. Ovviamente hanno pagato dazio Spagna e Portogallo, ma l'intero ammontare netto dei Cds sui bond sovrani di 54 paesi è aumentato significativamente. Così come anche il mercato dei Cds sulle società private ha trovato una nuova vitalità. Tanto che, secondo dati diffusi da Bloomberg, gli indici di riferimento degli scambi di Cds sono tornati ad essere in continuo aumento.

6 febbraio 2010
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