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Usa batte Ue al Superbowl del mercato

di Daniele Bellasio

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6 febbraio 2010

La responsabile delle Finanze francesi, Christine Lagarde, il miglior ministro europeo in materia secondo il Financial Times, prima di partire per un lungo viaggio verso il G-7 che si è aperto in Canada, ha detto: «Siamo tutte persone di buona volontà, ma dobbiamo stare attenti, perché quello che funziona per un paese non necessariamente funziona per un altro». Via le cravatte e su i maglioni, i ministri finanziari cercano regole comuni per banche e dintorni, mentre nel giro di pochi giorni è cambiato il paradigma della storia di questa crisi.
Prima eravamo noi europei a dare la colpa a loro americani, pronti a vendere, con Bush si sarebbe detto "esportare", il nostro modello chiavi in mano agli Stati Uniti. Dal dare la colpa al dare lezioni era un attimo. Barack Obama era immaginato come il presidente statunitense più europeo della storia e quando il vecchio leone repubblicano Newt Gingrich gli dava del fautore di un socialismo all'europea la cosa non suonava più di tanto come un insulto.
Ora invece Obama non partecipa nemmeno più al summit europeo e sono loro americani a preoccuparsi per colpa del Vecchio continente, che mostra qualche fragilità perfino nel solido baluardo dell'euro. Tra luci, cioè i segnali incoraggianti della crescita e il calo del tasso di disoccupazione, e ombre – Warren Buffett perde la tripla AAA di affidabilità – il modello americano si gode un piccolo rally, una riscossa, nonostante in tripla AAA restino soltanto quattro società: Exxon, Johnson&Johnson, Microsoft, Automatic Data Processing.
Il Nobel Paul Krugman pare d'accordo con l'adagio reaganiano: «Il debito (americano) è abbastanza grande per badare a se stesso». Peccato che questo non valga per l'Europa e i suoi mercati, ipersensibili e dunque molto reattivi ai timori di solvibilità dei paesi più in difficoltà, come Grecia, Portogallo e Spagna. Perché, ovviamente, in un continente che cresce poco il debito fa più paura. Meno reattiva dei mercati è infatti l'economia dei principali paesi europei: i tassi di crescita previsti non sono quelli americani.
Quindi tutto come prima? Modello americano flessibile, votato all'innovazione e allo sviluppo ma carente di protezioni e di regole, da una parte, e modello europeo rassicurante, ma lento nel crescere come nel cadere, dall'altra?
Se fosse così, vorrebbe dire che la crisi, l'unica vera fonte di lezioni da apprendere, non ha insegnato molto soprattutto a noi europei. Almeno loro, gli americani, dopo la scoppola, la paura, i fallimenti e i costi sociali e statali, riprendono il filo del discorso della crescita, come confermano perfino alcuni dati sui consumi. È la vendetta del mercato, che cala alla vigilia della grande festa americana del Super Bowl.

6 febbraio 2010
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