Il dibattito dopo la Finanziaria 2010 continua a essere la somma di cose troppo diverse: ciò che servirebbe all'economia italiana nel 2010 per rinforzare la fragile ripresa già iniziata nei mesi estivi; e cosa serve al paese per i prossimi anni, per tornare a crescere come avevamo dimostrato di saper fare ancora qualche anno fa. Al di là delle polemiche politiche, spesso più feroci che utili, proviamo a ricordare un paio di cose imparate negli anni scorsi sulle virtù italiane e che non sono destinate a scomparire in questi anni difficili.
Ricordo anzitutto cosa ci aveva detto la Bce nella primavera del 2002. Il changeover delle diverse monete, nel nostro caso dalla lira all'euro, era stato un successo: sia in Italia sia in Romania! La cosa mi fece pensare: ecco dove stava un pezzo del nostro Pil! La nostra "mancata crescita" degli anni 90 era l'altra faccia dell'aumentata produzione che le nostre imprese (certo non le peggiori) sapevano realizzare nei paesi limitrofi, evitando così di dover importare la manodopera che ci avrebbe creato solo problemi in più. Questo aspetto si è rinforzato e ampliato negli anni successivi: sempre più la nostra mancata crescita era "nostro Pil" che producevamo altrove.
Ricordo una bella ricerca che l'Ucimu aveva promosso sulle caratteristiche della crescita che un gruppo di aziende sue associate aveva realizzato nel periodo fino al 2007. Stiamo parlando di macchine utensili, cioè di uno dei pilastri del nostro manifatturiero, che ha molto sofferto quest'anno. I risultati della ricerca erano molto chiari: la crescita quando avveniva in Italia era soprattutto di tipo difensivo, cioè si cercava di crescere «difendendosi dai difetti del paese». Tale era il cosiddetto "modello satellitare", in cui l'impresa leader decentra presso imprese satelliti fasi della lavorazione del manufatto, mantenendo al suo interno la progettazione e l'assemblaggio. Era in questo modo che si riusciva ad aumentare il fatturato senza far crescere le dimensioni dell'azienda in termini di addetti (con tutti i problemi che ne sarebbero derivati). Sempre più aziende produttrici di macchine utensili avevano preso sul serio l'arrivo dell'euro e quindi crescevano aumentando investimenti e produzione in altri paesi della zona- euro, dalla Spagna alla Finlandia. La mia riflessione di allora era stata che questa strategia era certamente nell'interesse delle nostre migliori aziende e quindi anche del paese. Bastava ricordarselo, favorendo l'arrivo in Italia di aziende di altri paesi con i loro investimenti.
Due anni dopo, sono ancora questi i nostri problemi di lungo periodo, cui non basta la ripresa già iniziata. Non solo dobbiamo favorire l'arrivo di altrui investimenti, e anche il consolidamento del nostro sistema industriale di eccellenza attraverso strumenti a ciò idonei: ad esempio, le holding di cui Confindustria parla. Ma anche l'ulteriore integrazione con il nostro meglio che è già cresciuto in questi anni all'estero.