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Nei tanti anni che ho lavorato con Giovanni Paolo II mi sono trovato molte volte ad avere a che fare con momenti di grande difficoltà, addirittura talvolta d'estrema drammaticità. E nella forza della leadership di Wojtila era sicuramente la calma ponderazione razionale degli obiettivi nel caso concreto, un processo intelligente e pratico di discernimento personale che lo conduceva ad individuare e a perseguire l'opzione migliore, eticamente fondata, pure nel frangente peggiore.
Mi ricordo di aver riconosciuto, in quegli anni, alcune doti del leader in personaggi così diversi tra di loro come Michael Gorbaciov, Ronald Reagan, Vacklav Havel, Helmut Kohl, Cory Aquino e, per uscire dall'ambito politico, Alexander Solzenicyn. Saper far convogliare la volontà di molte persone verso un solo obiettivo, saper portare sempre le considerazioni altrui verso un'intesa decisiva, è questo quanto possiamo realmente definire come espressione corretta di una leadership consolidata.
Mancherebbe accennare alla dialettica tra leadership e opinione pubblica. L'opinione pubblica riconosce di solito la leadership. E il leader accetta il riconoscimento che della sua leadership fa l'opinione pubblica. Ma il vero leader sa resistere alla suggestione di configurare la sua leadership in funzione dell'immagine che di essa diffonde l'opinione pubblica. Normalmente, una persona costruisce il suo carattere dall'interno verso l'esterno. Se la sfera interiore - cioè, le convinzioni intime, i valori, e i progetti che presenta alla gente - rimane relegata in un ambito remoto ed è sottomessa alla sua immagine pubblica, allora comincia un processo di inautenticità, la sua persona rimane molto fragile e finisce per non riuscire nemmeno a recuperare il rapporto con se stesso.