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ADDII / Il parroco dell'Italia intera

di Gianni Riotta

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7 gennaio 2010

Ci sono bravi preti e bravi giornalisti, ma tra i bravi preti bravi giornalisti don Zega era il migliore: come sacerdote e come collega. Scomparso martedì a Milano, a 82 anni, Leonardo Zega era celebre come direttore del settimanale Famiglia Cristiana, dal 1980 al 1998, quasi due decenni in cui la sua rubrica «Colloqui con il padre» accompagnò l'evoluzione della morale cattolica italiana con carità, fede e straordinaria arguzia.
Ordinato sacerdote nella Compagnia di San Paolo nel 1954, don Zega, come tutti lo chiamavano, era andato nelle Filippine, imparando una realtà negata a tanti suoi confratelli: che il cattolicesimo del XX secolo muta in modo formidabile, negli usi, i costumi, le anime, tra città e campagna, paesi ricchi e paesi poveri.

La sfida epocale della Chiesa, mantenere un credo e una predicazione universali in un mondo così fratto, fu poi interpretata dalla Cei con un richiamo forte al centralismo, nella pratica pastorale e in politica. Leonardo Zega, uomo mite, preferì guardare al singolo fedele, alla mamma alle prese con il figlio inquieto, alla sposa confusa davanti alla rivoluzione sessuale, all'uomo di mezza età frustrato dall'età del consumismo in amore. Rispondeva come un confessore pubblico, sempre intento a confortare e salvare il peccatore - vero o presunto che fosse - e non a condannarlo al rogo mediatico.

Quando infine dovette lasciare Famiglia Cristiana, che aveva portato al record di vendita di due milioni di copie con medie oltre un milione, troppo forte il contrasto con la gerarchia e il suo dissenso in politica, non cedette neppure per un attimo alla solita rancorosa grancassa italiana. Se fu amareggiato, e certo non gli piacque lasciare il lavoro della vita, portò la sua croce in silenzio. E quando alla Stampa, allora diretta da Marcello Sorgi, gli offrimmo una collaborazione, la accettò di buon grado e, genio del giornalismo, seppe intrecciare con i lettori del più nobile tra i giornali laici un colloquio fecondo e caloroso. Arrivò insieme a lui Mina, grande artista che debuttava nel giornalismo, e in breve la strana coppia, il parroco d'Italia e la cantante più amata d'Italia, stregarono i lettori. Parlavano il loro linguaggio, non erano rinchiusi nel circo dei media, erano benedetti dal buon senso, virtù così rara.

Questo era il don Zega giornalista, premiato nel 1998 con il Saint Vincent. Il prete era altrettanto semplice e profondo, presente al battesimo a al sacramento degli infermi, sollecito con gli amici, il suo telefonino sapeva sempre squillare nei momenti più duri, pronto a pregare, con discrezione. Per i suoi amati fratelli e sorelle dei Paolini aveva una sollecitudine paterna, dirigeva ora 3, periodico per gli anziani, ma segnalava Famiglia Cristiana e le sue iniziative senza che nessuno lo sapesse, allenatore in tribuna senza smania di apparire. Lo invitai tante volte al Tg 1, gli proposi una rubrica: disse sempre «No grazie, il mio tempo pubblico è terminato».

Che un uomo così mite abbia ricevuto tanti insulti, molti li trovate ancora online, ghiacciati per sempre dal rancore che inquina il cuore di chi li ha vergati, è per noi fonte di rammarico e di incoraggiamento. Rammarico per un paese in cui la bontà e la verità son ripagati a calunnia. Incoraggiamento perché è dunque possibile lavorare come lui, ricevere l'odio senza odiare, il rancore senza ricambiarlo, il disprezzo senza disprezzare.
Il giornalista don Zega cercava la verità, il sacerdote don Zega credeva nella Verità, ma nel mio amico Leonardo non ho mai saputo vedere dove finisse l'uno e cominciasse l'altro. I funerali oggi a Milano, ore 16 chiesa di San Pietro in Sala.

7 gennaio 2010
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