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Sono in realtà proposte nate morte: gli Stati Uniti non accetteranno mai di perdere i privilegi generati dal dollaro, che sostengono il loro sistema finanziario e proiettano la loro economia ovunque nel mondo. Washington preferirà camminare su un filo, rischiare mille crisi. E continuerà a far pressioni sulla Cina come fece su Giappone e Germania nel 1985 per svalutare la sua valuta.
Pechino però non è Tokyo, né Bonn, allora più deboli verso gli Usa: è la capitale di un impero emergente e autocratico, geloso della propria indipendenza. La svolta del Fondo monetario asiatico, la Chiang Mai Initiative, insieme all'idea, che aleggia, di un Piano Marshall cinese per concedere prestiti ai paesi emergenti di Asia, Africa e America Latina, hanno però mostrato che la Cina vuol fare un passo avanti e far valere il suo status di creditore globale, e che non sarà facile fermarla. È dunque una sfida aperta all'America e al suo ruolo internazionale. Washington saprà rispondere?