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La periferia di Eurolandia vivrà dieci anni difficili (ma a macchia di leopardo)

di Alfredo Sessa

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7 gennaio 2010

Alla prima vera prova del fuoco, la grande crisi economica-finanziaria del 2008-2009, la tenuta sociale e politica del sistema dell'euro ha scricchiolato sinistramente. Sono le periferie di Eurolandia, come nel più classico schema di degrado urbano, a manifestare i più forti segnali di disagio. Tra gli studiosi di economia c'è sostanziale condivisione delle opinioni espresse da Martin Wolf sul Sole 24 Ore di ieri: le rigidità e i vuoti del sistema euro rischiano di condannare paesi come Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo, Italia a un probabile, lungo periodo di difficoltà economiche e sociali. Anche se, come in tutte le periferie, ai grigi casermoni delle esistenze rassegnate si affiancano le case colorate di chi ha ancora carte per giocarsi il futuro.
«Ritengo che Martin Wolf abbia ragione, ma allo stesso tempo non possiamo fare un'analisi identica per tutti – dice Marco Pagano, docente di Politica economica all'Università Federico II di Napoli –. Spagna e Irlanda, per esempio, hanno avuto una forte espansione della domanda aggregata in una misura che l'Italia non ha avuto, e adesso scontano le conseguenze di deflazione dei valori immobiliari, e uno shock economico più forte a causa dello sgonfiamento della bolla speculativa. Anche da un punto di vista fiscale, non tutti i paesi hanno una situazione comparabile. Tutti sono però accomunati dal fatto di non poter guadagnare competitività attraverso un deprezzamento del tasso di cambio, ma attraverso il meccanismo doloroso di una minore crescita dei loro prezzi e salari rispetto a quelli dei paesi più forti nella zona euro, oppure di una maggior crescita della loro produttività. La compressione di prezzi e salari è il solo meccanismo automatico che hanno a disposizione. Nella misura in cui funzionerà, riusciranno a uscire da questa difficile situazione senza eccessivi sacrifici in termini di occupazione e produzione, o di emigrazione della forza lavoro nazionale verso i paesi più forti della zona dell'euro».

Eurolandia non ha costruito vie di fuga. «In una situazione come quella degli Usa – prosegue Pagano – ci sarebbe non solo un aggiustamento dei prezzi e dei salari tra le aree più colpite e quelle più solide, ma anche migrazione interna dagli stati più colpiti verso quelli dove l'economia tira di più. In Europa, il mercato del lavoro è tuttora più rigido e segmentato: per barriere di tipo linguistico e sociale questo aggiustamento è più difficile. Nondimeno, anche in Europa il meccanismo può entrare in funzione. Ovviamente, i costi sociali ed economici dell'aggiustamento saranno considerevoli. La vera domanda è se tutti i paesi che fanno parte dell'area dell'euro siano in grado di tollerarli».

Per Riccardo Realfonzo, direttore del Dipartimento di Analisi dei sistemi economici e sociali dell'Università del Sannio, quello definito a Maastricht è un quadro nel quale risulta esasperata l'assenza di meccanismi di riequilibrio non deflazionistici tra le aree: «Assistiamo da tempo a evidenti processi di divergenza territoriale, con una vera e propria "mezzogiornificazione" dei paesi in ritardo di sviluppo. Se non interverrà una ridefinizione dei vincoli di spesa e non entreranno in funzione nuovi meccanismi compensativi tra le aree, la crescita del disavanzo commerciale diverrà presto insostenibile per i nuovi Mezzogiorni d'Europa. La caduta dei salari necessaria a riportare il costo per unità di prodotto di Italia, Grecia, Portogallo e Irlanda in linea con la Germania rischia di non essere sostenibile sul piano sociale».

Secondo Realfonzo è necessario rilanciare l'intervento pubblico, facendo in modo che i paesi ricchi possano contribuire a sostenere gli shock che colpiscano le aree povere. Occorre poi allentare i vincoli alla spesa e definire una politica monetaria più accomodante. «Altrimenti le tensioni cresceranno esponenzialmente. Il problema è tutto politico: l'Europa unita o è solidale o rischia di non essere».

Quello che colpisce è l'inerzia del sistema Eurolandia nonostante gli scossoni della crisi. «In questa fase di relativa ripresa – osserva Paolo Guerrieri, docente di Economia internazionale all'Università di Roma "La Sapienza" – stiamo vedendo la riproposizione in ambito europeo di strategie già sperimentate con poco successo nell'ultimo quinquennio: strategie di crescita prettamente nazionali, tese a rafforzare competitività e esportazioni dei singoli paesi, attraverso il contenimento dei costi e iniziative "neomercantilistiche". Come è già avvenuto in passato, ne deriverebbero processi di crescita trainati dall'esterno, ovvero dalla domanda mondiale, destinati a favorire certamente qualche paese europeo, tra cui la Germania, ma che finiranno per penalizzare allo stesso tempo la domanda e il mercato interno, accentuando gli squilibri tra paesi membri».

«Una prospettiva meno negativa – suggerisce Guerrieri – potrebbe derivare da una strategia che l'area dell'euro e l'Europa potrebbero seguire: rilanciare la domanda. Si potrebbe agire sia attraverso investimenti in aree come la difesa dell'ambiente, la protezione della salute, l'Ict, sia completando il mercato interno».

7 gennaio 2010
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