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I summit sotto vuoto, ora è il turno delle banche

di Marco Onado

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8 gennaio 2010

La decisione della Banca dei regolamenti internazionali di convocare a Basilea i responsabili delle principali banche mondiali è un'ulteriore prova del fatto che la crisi finanziaria è tutt'altro che superata; anzi, proprio le eccezionali misure poste in essere per evitare il tracollo possono gettare i semi di una nuova fase di instabilità.

Secondo l'autorevole istituzione, i cui rapporti degli anni passati sono densi di indicazioni preoccupate (e inascoltate) sui rischi che si stavano accumulando, le grandi istituzioni finanziarie «stanno tornando alle condotte aggressive che prevalevano prima della crisi». La diagnosi è già stata formulata da numerosi banchieri centrali, in particolare da Mervyn King governatore della Bank of England e da Jean-Claude Trichet presidente della Bce. Quest'ultimo a metà ottobre aveva accusato le banche di dedicarsi alla «speculazione senza freni e al gioco d'azzardo finanziario e le aveva esortate a «tornare alla loro tradizionale funzione di fornire servizi all'economia reale».

Dopo quasi due mesi da questi severi richiami, la situazione non è affatto cambiata e non c'è da stupirsi: la politica monetaria continua ad assicurare alle banche tassi di raccolta straordinariamente bassi e alimenta operazioni finanziarie più o meno complesse e rischiose, che generano cospicui profitti che possono trasformarsi in perdite altrettanto elevate, nel momento in cui lo scenario di mercato cambiasse, come deve cambiare quando la tanto invocata exit strategy comincerà ad essere tradotta in decisioni di politica monetaria e cioè in rialzi dei tassi di interesse. E d'altra parte l'incentivo per le banche è fortissimo: non solo ci sono strutture di trading agguerrite che non sono state affatto smobilitate, ma c'è anche la necessità di ripianare le perdite degli ultimi due anni e anche quella di mettere fieno in cascina per fronteggiare la maggior rischiosità del credito alle imprese.
In queste situazioni, invitare le banche a «non scherzare col fuoco», come è stato detto, è come dire ai bambini di non pensare alla Nutella.

L'incontro di Basilea è quindi opportuno, ma c'è il forte rischio che si trasformi nell'ennesimo balletto di nobili dichiarazioni, compunti omaggi alla stabilità finanziaria da parte di coloro che la minacciano e roboanti proclami su decisioni da prendere in un futuro non meglio precisato. Insomma, la versione finanziaria della conferenza di Copenhagen sul clima.

Per scongiurare questo pericolo, occorre innanzitutto dare finalmente avvio alla riforma della regolamentazione finanziaria, per la quale vale ormai la battuta del dramma di Beckett: «Il signor Godot mi ha detto di dirvi che non verrà questa sera, ma di sicuro domani». Molte delle proposte già avanzate servirebbero a contenere la propensione delle banche ad assumere rischi eccessivi: basti pensare allo spostamento di una parte consistente delle operazioni in derivati su mercati regolamentati o comunque dotati di una struttura centrale che gestisca il rischio di controparte. Così come, in attesa della revisione di Basilea per gestire meglio i rischi di mercato e di liquidità, occorre che tutti i regolatori, a cominciare da quelli che prima e durante la crisi si sono dimostrati troppo indulgenti, applichino le vecchie norme con maggior severità ed entrino veramente nel merito dell'analisi delle condizioni delle singole banche, per accertare che davvero siano rispettati i principi della «sana e prudente gestione», scolpiti nel bronzo di tutte le leggi bancarie e applicate nel modo che abbiamo tutti visto.

Ma questo richiede alle autorità di vigilanza di applicare le norme con una discrezionalità cui in passato avevano volentieri rinunciato: con qualche eccezione, a cominciare dall'Italia, sono state tollerate politiche estremamente rischiose, che poi si sono tradotte in costi dolorosi per i contribuenti. Se i regolatori (che in molti paesi come la Germania sono distinti dalle banche centrali) non si decideranno ad un giro di vite coordinato sull'applicazione delle regole, vecchie o nuove, gli inviti alla prudenza sono destinati a rimanere inascoltati e i banchieri continueranno a sentirsi legittimati ad assumere rischi finanziari enormi, anche a scapito - come sta accadendo - del credito ai settori produttivi, in nome della massimizzazione dei risultati e della redditività per gli azionisti.

Proprio a questo proposito, il documento (riservato) della Bri propone alle banche di ridurre gli obiettivi in termini di Roe (Return on equity) per contenere la propensione al rischio. Ma chi decide qual è il valore di equilibrio? Non certo i regolatori: un "calmiere" sul Roe è altrettanto demagogico delle tasse punitive sui bonus dei banchieri. I regolatori hanno invece già gli strumenti per entrare nel merito delle politiche che essi considerano non prudenti, come avrebbero dovuto fare, tanto per citare un esempio, con Northern Rock che invece nelle sue relazioni di bilancio citava con orgoglio il «circolo virtuoso» delle sue aggressive politiche di raccolta e di impiego ai fini della massimizzazioni del valore per gli azionisti. E se gli strumenti attuali non bastano, possono introdurre modifiche non particolarmente complesse, come quella proposta proprio di recente dall'ente americano di assicurazione dei depositi (Fdic), che chiede di modulare i premi assicurativi pagati dalle banche alle caratteristiche delle politiche retributive.

  CONTINUA ...»

8 gennaio 2010
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