La scorsa settimana avevamo scritto che «onestà intellettuale vorrebbe che si accendesse un faro» sulla massa di liquidità passata dalle banche centrali e dai governi agli istituti di credito per evitare il crollo dell'economia reale. Liquidità che in larga parte non è andata alle aziende, ma è finita di nuovo sui mercati finanziari, riaccendendo i listini azionari. Quanto all'Italia, avevamo osservato che una luce doveva restare accesa sul balletto dei "Tremonti bond" (le obbligazioni delle banche che il Tesoro si è impegnato a sottoscrivere per un ammontare di 10-12 miliardi) e più in generale sul fatto che le imprese continuavano a registrare difficoltà sul mercato del credito.
A cavallo tra la riunione del G-20 a Londra e del forum Ambrosetti di Cernobbio, la situazione si è fatta più chiara. In tutti i sensi, grazie anche alle parole franche che tutti gli attori in campo hanno pronunciato evitando di girare in tondo al problema.
Dunque, a livello internazionale si sta costruendo (non senza compromessi) l'accordo sui bonus dei manager e sui nuovi requisti di capitale che verranno richiesti alle banche a ripresa partita, in modo da evitare ulteriori strette del credito. Il che riconferma (per l'oggi e per il domani) l'esistenza della questione "credit crunch".
Il discorso vale anche per l'Italia, dove si confrontrano tre posizioni. La prima è quella del ministro dell'Economia Tremonti e del governatore della Banca d'Italia Draghi. Ambedue ritengono che - prima di pensare ai dividendi e ai piani retributivi - debba essere prioritario per le banche il rafforzamento patrimoniale. Comune, sullo sfondo, l'analisi sulla restrizione del credito in corso.
Le imprese a loro volta continuano a lamentare difficoltà nell'accesso al credito e le disparità di trattamento tra "grandi" da un lato e "piccole e medie" dall'altro. La presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, insieme al collega tedesco Hans-Peter Keitel, ha chiesto una revisione urgente delle rigide regole di Basilea 2 e ha prospettato la creazione di un fondo per rafforzare la capitalizzazione delle imprese. Quanto al (positivo) accordo con l'Associazione bancaria per la moratoria sui crediti, Marcegaglia vuole vedere applicazione e risultati. In ogni caso, il problema del credito resta una priorità.
Terza posizione: i banchieri. L'ad d'Intesa Corrado Passera ha messo fine al balletto dei Tremonti-bond, opportunità per ora utilizzata solo dal Banco popolare. Gli azionisti - ha detto esplicitando un pensiero, sottotraccia, comune ad altri banchieri - potrebbero decidere di non servirsene in modo da poter agire con maggiore indipendenza. Si pensa a pagare dividendi e non c'è bisogno di nuovo capitale. Ruvido il presidente dell'Abi Faissola, che legge nelle posizioni di Tremonti l'idea di statalizzare il credito: non esiste un problema di liquidità, aumentano le sofferenze e non la domanda di finanziamenti, i Tremonti-bond non sono più necessari, non facciamoci troppe illusioni sull'allentamento dei criteri di Basilea 2.
Tutto è così più chiaro e non etichettabile con la facile insegna della "polemica con Tremonti". Ma è anche più complicato quanto a soluzioni pratiche e condivise perché, ad esempio, è tutt'altro che ovvia la divergenza di posizione tra la Banca d'Italia e una gran fetta del sistema bancario. La partita continua.
guido.gentili@ilsole24ore.com