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Parlare di cogestione significa parlare di corporate governance. In Germania, la cogestione nelle grandi aziende del carbone e dell'acciaio fu introdotta nel 1951 per scongiurare il ripetersi del supporto che esse avevano dato al nazismo.
Il nostro sistema capitalistico ha evidenti problemi di corporate governance, di separazione di proprietà e controllo, di conflitti d'interessi, di asimmetrie: ma non avrebbe senso alcuno pensare di risolverli complicandoli, introducendo nei consigli di sorveglianza (obbligatori dunque?) alcuni consiglieri dipendenti. Non avrebbe senso neppure accennare a un simile problema, quando già si giudica troppo rischioso, in tempo di crisi, prendere provvedimenti semplici e circoscritti, quali l'innalzamento dell'età pensionabile, o il cosiddetto "contratto unico".
È in discussione al Senato una proposta di legge che raccoglie e sintetizza iniziative nate nel corso della legislatura a destra e a sinistra dell'arco politico. Essa è volta a rendere possibili le scelte volontarie e libere di singole imprese in merito a distribuzione degli utili ai dipendenti, assegnazione d'azioni, destinazioni di quote del Tfr, eccetera, evitando le doppie imposizioni e disparità di trattamento fiscale tra varie forme d'incentivazione della produttività.
Ma la parte veramente innovativa è quella dell'articolo 5, là dove consente "scommesse" su progetti industriali o sperimentazioni di forme organizzative non previste dai contratti nazionali, ove ci sia l'accordo di un sindacato che rappresenti il 51% dei lavoratori, o la sanzione d'un referendum. Sono proposte in sé limitate, ma di straordinaria portata per promuovere innovazione organizzativa e rimuovere sclerosi che bloccano possibili sentieri di crescita. Ammantarle di nomi altisonanti o di prospettive millenaristiche non giova a liberarne le potenzialità. Non dovrebbe essere necessario farlo per ottenerne l'approvazione.
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