È probabile che la nostra discussione pubblica arrivi presto a considerare gli anni 80 sotto una luce diversa. Non più come il decennio del ripiegamento nel privato e della decadenza dei costumi, ma come una stagione di modernizzazione economica e sociale di gran lunga più lineare di quella che il nostro paese ha poi conosciuto nel corso degli anni 90 e in quelli più vicini a noi. Se e quando si produrrà un tale mutamento di giudizio, sarà inevitabile identificare in Bettino Craxi la figura più rappresentativa di quel decennio. Il personaggio maggiormente capace di incarnarne le virtù insieme ai vizi, ma senza che le prime possano essere cancellate dai secondi. Perché se le sentenze della magistratura parlano chiaro, è altrettanto evidente che la stagione craxiana fu l'ultimo grande tentativo della politica di far compiere all'Italia quel balzo di sviluppo e modernità che nessun esponente della nostra democrazia repubblicana è stato poi in grado di realizzare.
Non ci sono riusciti gli eredi della tradizione comunista e della sinistra democristiana, che hanno gestito con equilibrio l'emergenza degli anni 90 senza tuttavia lasciare dietro di sé niente che non sia il già confuso progetto del Partito democratico. Così come non è riuscito il berlusconismo a trasformare il suo vasto mandato popolare in un progetto coerente, dove la coerenza non sia solo la centralità del suo originalissimo leader ma qualcosa che somigli alla costruzione di una forza liberale destinata a sopravvivergli. La somma di queste debolezze, con cui da anni siamo ormai abituati a convivere, ci dice che la fine rovinosa del craxismo fu anche la fine di una forza della politica che fino ad oggi l'Italia non ha più recuperato.
D'altra parte la forza progettuale del craxismo, da non confondersi con l'ingombrante carisma che si associò a quella prima esperienza italiana di personalizzazione della leadership democratica, fu anche ciò che rese Craxi popolare presso coloro che in teoria avrebbero dovuto esserne immuni. Si pensi ad esempio alla sinistra radicale - da una parte del Manifesto ad alcuni ambienti già extraparlamentari - che vi riconobbe non solo una comune matrice vitalistica ma anche la possibilità di superare l'immobilismo a cui il Pci si era consegnato dopo la fine del compromesso storico. Così come si ricorderà la competizione per la modernizzazione a cui la Democrazia cristiana di De Mita fu costretta dal craxismo, nell'ultima stagione di vero dinamismo che il partito cattolico conobbe prima della sua dissoluzione.
Ma se Craxi fu il cultore più aggressivo di una forza della politica che dopo Tangentopoli non abbiamo più ritrovato in forme tanto esibite, la sua eredità coincide con quella più vasta del decennio del suo maggior potere. E dunque con quegli anni 80 che videro tanto la trasformazione dei linguaggi della cultura popolare - non solo televisiva - quanto la spinta decisiva all'internazionalizzazione della nostra economia, nel segno di una riscoperta del "made in Italy" che curò l'autoflagellazione ereditata dagli anni 70 con robuste iniezioni di nuovo patriottismo. Con quegli stessi anni 80 si chiuse (o sembrò chiudersi) l'illusione con cui il decennio precedente si era baloccato tanto a lungo: l'Italia come laboratorio politico e ideologico del tutto peculiare, nel quale era possibile ciò che al resto d'Europa era negato. Ne uscì un'Italia più normale, nel bene e nel male, di cui Craxi fu il testimone più visibile e anche per questo la figura destinata a portarne il pesante carico di maledizioni.
Per questo molti dei temi aperti nel corso di quel suo decennio attendono ancora di essere risolti, anche se oggi oltre il 90% degli italiani non ricorda più che Craxi fu presidente del consiglio (come ci spiega un sondaggio pubblicato sull'ultimo numero di Panorama). Dal conflitto tra politica e magistratura fino al nodo di una politica estera in bilico tra atlantismo e dialogo con il mondo arabo più oltranzista, passando per la retorica della demonizzazione del nemico, l'Italia è immersa negli anni di Craxi più di quanto ci piaccia immaginare.