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La Calabria chiama tutti gli italiani

di di Lello Naso

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9 gennaio 2010

Da un paio di giorni vengono diffuse dalle televisioni in tutto il mondo immagini da guerriglia negli slum di Soweto: teatro è invece Rosarno, Piana di Gioia Tauro, provincia di Reggio Calabria. Gruppi di immigrati africani armati di bastoni e spranghe che invadono il centro, distruggono automobili e vetrine di negozi, si scontrano con la polizia. I cittadini reagiscono, qualche gruppo fa scattare la caccia all'immigrato, teppisti malavitosi gambizzano due ragazzi extracomunitari e ne riducono un altro paio in gravi condizioni a colpi di spranga.
Che cosa sta - davvero - succedendo? Prima di tutto il luogo: la Piana di Gioia Tauro, 33 comuni, sotto scacco della criminalità organizzata. I principali centri - Gioia Tauro, Rizziconi, Rosarno, San Ferdinando, Taurianova - sono commissariati per infiltrazioni mafiose nei consigli comunali.

Negli ultimi anni le cosche della zona - Piromalli, Molè, Bellocco, Pesce, Crea, Alvaro, Mammoliti - si sono dilaniate in guerre per il controllo del territorio, insanguinate da una lunga scia di morte. Solo nel 2009 sono stati uccisi una mezza dozzina di ragazzi, qualcuno perfino minorenne. È la nuova 'ndrangheta: più spietata di quella che ha dominato gli anni Ottanta, insinuata nei grandi appalti pubblici e dedita al traffico di armi e droga.

Nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, a Reggio Calabria, una bomba è stata fatta esplodere davanti alla Procura generale. Due giorni dopo, un petardo è stato trovato nell'aula bunker dello stesso tribunale. Un caso? Una burla? Una minaccia?

Gli indicatori dell'economia sono micidiali: una delle percentuali più alte di disoccupazione del paese, l'area del porto priva di insediamenti industriali. Una fuga di cervelli senza sosta verso le università del Nord e sempre senza ritorno in una terra avvertita anche dai calabresi come ostile, nemica. Un'agricoltura arretrata, colpita dal crollo dei prezzi. Agrumi e olive lasciati a marcire sugli alberi o raccolti da extracomunitari accampati nella bidonville da Terzo Mondo alla periferia di Rosarno, senza acqua o corrente elettrica. Ricattati e sfruttati dalla 'ndrangheta, trenta euro al giorno di cui dieci trattenuti dal "caporale ", un ex emigrante al soldo delle cosche.

Alla bidonville numerosi i raid dei bulli di Rosarno e di giovani affiliati alla 'ndrangheta e sono sassaiole quando va bene altrimenti colpi di arma da fuoco, agguati, pestaggi. Tutto dunque perduto, la Piana di Gioia Tauro come una zattera della Medusa disperata e alla deriva? Qualche segnale di speranza c'è, spesso trascurato dai media. Molti dei boss sono stati condannati in primo grado a pene pesanti e sono in attesa dei processi d'appello. Il nuovo procuratore della repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e il procuratore generale Salvatore Di Landro sono decisi a ripristinare la legalità e spaventano i boss. La società civile prova a sostenerli organizzando manifestazioni e fiaccolate contro la 'ndrangheta, in testa don Pino De Masi, sacerdote di Polistena, vicino a Libera e don Ciotti. Confindustria Calabria con Umberto De Rose, nello scorso novembre, ha lanciato la campagna «Io il pizzo non lo pago», dopo i successi dei colleghi siciliani Lo Bello e Montante.

Per qualche boss la misura è colma, la 'ndrangheta reagisce: omicidi, la bomba di Reggio Calabria, ora i raid di Rosarno, espressione quindi non di disagio sociale e neppure di razzismo, ma segnale di malessere criminale chiaro. La reazione deve essere ferma, e i magistrati, gli intellettuali, i giovani e gli impreditori devono sentire di non essere soli. Reggio Calabria e Rosarno, come ha scritto lo studioso Miguel Gotor sul Sole, sono Italia, i loro nemici minacciano tutti. La 'ndrangheta è potente come la mafia, ma finora ha prosperato in una zona d'ombra tra disinformazione e indifferenza.

Il presidente della Repubblica Napolitano invita a fermare senza indugio ogni violenza. Il governo, l'opposizione, la giunta regionale della Calabria dimentichino le divisioni e lavorino insieme con il solo obiettivo di stringere in un angolo la 'ndrangheta mai potente come adesso ma che soffre i primi colpi. Ci sarà così un retroterra ben più solido per drenare l'acqua dallo stagno delle cosche. Tanti cittadini stanno a guardare: se vedranno repressione e prevenzione operare insieme contro la 'ndrangheta ricorderanno a se stessi, presto, che si deve solo stare dalla parte della legge.

9 gennaio 2010
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