ITALIA

 
 
 

 
HOME DEL DOSSIER
5 Ottobre 2009
4 Ottobre 2009
3 Ottobre 2009
2 Ottobre 2009
1 Ottobre 2009
30 Settembre 2009
22 Settembre 2009
21 Settembre 2009
20 Settembre 2009
19 settembre 2009
18 settembre 2009
17 Settembre 2009
16 settembre 2009
15 settembre 2009
14 settembre 2009

11 Settembre 2009

10 Settembre 2009
9 Settembre 2009
8 settembre 2009

7 settembre 2009

6 Settembre 2009
5 Settembre 2009
4 Settembre 2009
3 Settembre 2009
2 Settembre 2009

1 Settembre 2009

LEZIONI PER IL FUTURO / Tornare alla normalità dopo tagli del 40%

di Giacomo Vaciago

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
Mercoledí 09 Settembre 2009

Nell'ultimo Policy insight del Centre for Economic Policy Research (Cepr) appena pubblicato, Luigi Spaventa spiega cosa gli economisti non avessero capito della crisi finanziaria iniziata due anni fa. Spaventa si concentra sui temi della finanza e quindi del rischio e dei rapporti tra banche e mercati finanziari. Sono proprio i temi di cui più si è discusso in questi due anni e per i quali il dibattito politico è tuttora acceso. In Italia, contro le banche più che altrove.

Il bello è che nel frattempo la crisi è completamente cambiata. Banche e Borse si sono riprese, anche grazie alla liquidità che regalano loro le banche centrali. Mentre la crisi dall'ottobre scorso è passata all'industria, che ne uscirà molto (troppo!) lentamente.

Come mai una crisi che era nata per gli eccessi (mutui subprime) dell'edilizia (l'attività più "immobile" che ci sia) è poi diventata grave soprattutto nell'industria (l'attività che è più "globale")? Se andate a vedere cosa scrivono molti economisti, esperti di economia industriale, leggete che la colpa è attribuita alle esportazioni: sono le esportazioni che dall'autunno scorso si sono ridotte molto, non i consumi delle famiglie. Chi fa le somme, e vede che di altrettanto sono cadute anche le importazioni, scrive che in crisi è entrato il commercio internazionale. Ciò è evidente a livello globale: salvo errori statistici, la somma delle esportazioni è uguale alla somma delle importazioni. Ma ciò non aiuta a capire: le eguaglianze garantiscono coerenza, ma non spiegano.

Per capire come una crisi finanziaria sia poi diventata così grave nell'industria, e come oggi non basti più dire che sono le banche le colpevoli di tutti i nostri guai, bisogna ricordare cos'è successo dopo il 15 settembre 2008 (la settimana prossima ne celebriamo il primo anniversario!). Quel giorno dai computer di tutto il mondo scompare l'icona di Lehman Brothers cioè fallisce una delle più grandi banche di investimento, nota e utilizzata in tutti i paesi del mondo. Non è che finanzi solo il commercio internazionale, ma il suo fallimento ricorda in modo drammatico a chiunque opera sul mercato globale che in ogni campo c'è sempre un "rischio di controparte": qualunque credito può non andare a buon fine. Ma non si fermano solo le operazioni esclusivamente finanziarie, soprattutto tra paesi lontani; perché la stessa paralisi vale anche nei rapporti – a maggior ragione tra clienti e fornitori di paesi lontani – all'interno dell'industria.

La crisi dell'industria da ottobre 2008 a marzo 2009 – la produzione globale crolla in sei mesi del 30%, cosa mai avvenuta da Adamo ed Eva – è spiegata dal "moltiplicatore" meno ordini meno produzione meno magazzino meno ordini eccetera. Ciò ha fatto sì che il crollo delle esportazioni (e quindi delle importazioni) fosse in tutti i paesi del mondo il canale attraverso il quale l'industria si è ridimensionata. Dopo vent'anni di crescente globalizzazione, cioè di riallocazione della produzione su un numero sempre maggiore di paesi, nel giro di sei mesi abbiamo de-globalizzato l'industria.

Tutta colpa delle banche? Ovviamente no. Colpa allora degli stessi industriali, ad esempio quelli la cui produzione e il cui fatturato si sono più ridotti? Anche questo non è vero. La crisi più grave della storia della nostra industria è arrivata nel modo meno prevedibile e meno previsto e non ha guardato in faccia a nessuno: i cali di produzione maggiori li hanno registrati le industrie più globali che in molti paesi e certo in Italia erano spesso le migliori, e proprio per questo erano più cresciute negli anni precedenti. Come una fisarmonica, l'industria si è contratta tanto più si era ampliata prima.

Problema: quando e come si torna "normali", dopo un ridimensionamento che in media è ancora del 20%, ma che in molti casi arriva anche al 40 per cento? È questa la domanda che più volte è stata fatta dai piccoli e medi industriali presenti al recente incontro annuale di Cernobbio. Proprio perché hanno visto sparire i loro ordini un anno fa, questi industriali sanno benissimo che di questo shock la responsabilità principale non è dei banchieri (nessuno mi ha rinfacciato di essere un economista...). E non basterà la disponibilità di credito bancario a far ripartire gli ordini (e quindi il magazzino, e quindi gli investimenti, e quindi l'export e l'import e così via) dell'industria. Nei prossimi mesi, i rischi di ulteriori ridimensionamenti sono ancora concentrati nell'industria, che paradossalmente è il settore meno responsabile per la crisi in cui viviamo.

Mercoledí 09 Settembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-