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DIALOGO ALLA PROVA / Primo test per riforme condivise

di Alberto Orioli

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1 Aprile 2010
Primo test per riforme condivise. Nella foto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (Ansa)

Sarà il lavoro, dunque, il tema per verificare se è reale la volontà di riforme condivise espressa, dopo l'inequivocabile voto di domenica, da maggioranza e opposizione, seppur con toni e accenti diversi. L'occasione è offerta dalla decisione del Quirinale – motivata dalla massima cautela istituzionale, vista la sensibilità dell'argomento – di rinviare alle Camere il cosidetto "collegato lavoro", che, tra le altre misure, contiene anche la riforma dell'arbitrato.
Era stato proprio il capo dello stato Giorgio Napolitano, a caldo, dopo l'esito delle regionali, a invitare le forze politiche a perseguire, con decisione e dialogo, la strada delle riforme utili al paese. Pier Luigi Bersani, leader del Pd, ha annunciato che, se si parlerà degli argomenti che interessano la gente, il suo partito si siederà a ogni tavolo. Più di un ministro ha fatto profferte di voler dialogare con le opposizioni per dare il massimo del consenso alle riforme che modernizzano l'Italia. Si vedrà.
Ora è auspicabile che il nuovo esame del testo – che come ogni provvedimento legislativo è certo migliorabile – possa avvenire in modo sereno, senza le asperità e le strumentalizzazioni dettate proprio dalla campagna elettorale. Del resto, aveva stupito il clamore sorto a tre settimane dal voto per un provvedimento su cui commissioni e aule si esercitavano sonnecchiosamente da quasi due anni. Nulla avevano obiettato Pd e Idv (o Udc) sull'arbitrato fino a quando, su input della Cgil, si è alzato il tono della polemica agitando la parola tabù dell'articolo 18 sui licenziamenti. In nome del "giù le mani dall'articolo 18" il sindacato di Guglielmo Epifani ha anche organizzato uno sciopero generale, una manna per l'opposizione in cerca di argomenti per la battaglia dell'ultimo miglio prima del voto.
A nulla è servito l'avviso comune che, prontamente, le parti sociali hanno sottoscritto (tutte tranne la Cgil, che non ha firmato) a completamento del testo di legge per precisare che l'arbitrato non si sarebbe applicato al tema dei licenziamenti. Veloce sforzo concertativo triturato dall'implacabile e cinico copione elettorale.
Ora Napolitano chiede una minore dispersione di temi (del resto, il provvedimento era partito con 9 articoli e ne ha raggiunti 50): sarà utile esercizio dei parlamentari e dei tecnici di ingegneria legislativa razionalizzare ancora l'articolato. Quanto al merito, le perplessità espresse dal capo dello stato sull'uso dell'arbitrato e sulla necessità di agire con la massima delicatezza nell'equilibrio tra legge, contrattazione e azioni individuali dovrebbero essere fugate proprio da quanto sottoscritto dalle parti sociali nell'avviso comune.
Le perplessità di Napolitano sulla necessità di esplicitare la volontà di ricorrere agli arbitrati all'atto dell'assunzione è già stata corretta dalle parti sociali che si sono impegnate a impedirlo con norme contrattuali. In questo caso il legislatore non dovrà far altro che recepire questa indicazione.
D'altro canto la tradizione italiana della sussidiarietà in tema di lavoro è celebrata anche all'estero. È difficile pensare che la stragrande maggioranza delle organizzazioni sociali dei corpi intermedi sia in errore quando ritiene corretto definire "secondo equità" le soluzioni alle controversie. Il fatto che si tenti di superare il rigido criterio "secondo legge" potrà ulteriormente essere perfezionato con equilibrio tra esigenze pattizie e dettati costituzionali.
Del resto è lo stesso presidente della repubblica nel suo messaggio a considerare positivo «l'intendimento riformista» sotteso alla legge. Oggi – e questo interessa Napolitano anche come presidente del Csm – servono tre anni, mille giorni, per avere un pronunciamento credibile di un giudice in tema di lavoro. Non serve né al lavoratore, né all'imprenditore una giustizia così fatta.
Ora basterà che in parlamento si tenga conto delle conclusioni di imprese e sindacati in una eventuale riscrittura del provvedimento, dando forza di legge a quanto da loro sottoscritto nell'avviso comune, quindi solo in via pattizia e contrattuale. Varrà anche la pena di specificare al meglio chi potrà diventare arbitro riconosciuto e riconoscibile, dando magari più spazio ai professionisti, consulenti del lavoro in testa.
Se poi l'occasione di rivisitare il collegato lavoro si trasformerà nell'opportunità di discutere anche le altre riforme "vicine" (ammortizzatori sociali e statuto dei lavori) tanto meglio. L'importante è, come dice ancora il capo dello stato, che la norma sia «valutata con spirito aperto». E, quindi, che il confronto sia fatto in buona fede. Finora è stata una merce rara.

1 Aprile 2010
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