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IL PUNTO / Il rinvio non turba (per ora) il clima di riconciliazione nazionale

di Stefano Folli

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1 Aprile 2010
IL PUNTO
di Stefano Folli

In un altro momento la decisione di Napolitano avrebbe suscitato qualche tensione. Non occorre molta memoria per ricordare gli screzi al limite della crisi istituzionale che hanno caratterizzato i rapporti tra governo e Quirinale nel corso della legislatura. Questa volta invece è tutto sereno. Il rinvio della legge sull'arbitrato è stato accolto con assoluto rispetto da parte del centrodestra. «Nulla da eccepire, è nei suoi poteri», ha commentato Maroni. E Sacconi si è affrettato a garantire che i rilievi del Capo dello Stato saranno accolti.
Come è noto, si tratta della prima legge restituita al Parlamento dal presidente della Repubblica. Una legge tutt'altro che "neutra", considerando le proteste che si erano sollevate nel merito presso la sinistra politica e il sindacato. Dunque l'eventuale rinvio, peraltro anticipato da indiscrezioni nei giorni scorsi, si prestava alle polemiche. Viceversa, ora che le elezioni sono passate e che il Quirinale ha comunicato la sua volontà, la maggioranza si è inchinata. Da parte sua l'opposizione ha naturalmente applaudito Napolitano, così che il presidente della Repubblica si trova nella felice circostanza di non essere criticato da nessuno. Il che non è poco, in tempi di bipolarismo esasperato.
È come se il risultato elettorale, con la sua notevole portata politica, avesse restituito intatto al Quirinale il ruolo di equilibrio che gli è proprio, ma che molti tendevano a non riconoscere più. C'è una ragione ed è che da lunedì sera l'Italia è entrata in una fase nuova. La questione delle riforme è di nuovo sul tavolo e c'è la sensazione che stavolta non potrà essere esorcizzata con qualche artificio retorico. Il voto ha fatto emergere la forza politica della Lega e lo slancio riformatore del partito di Bossi peserà sui prossimi passaggi della legislatura. Ma affrontare sul serio il tema del rinnovamento istituzionale, partendo come vogliono i leghisti dall'attuazione del federalismo (anche nei suoi aspetti fiscali), significa accettare una sfida molto complessa. È probabile che l'opinione pubblica non si renda ancora conto di quanto sia delicata.
Sta di fatto che il ruolo cruciale del Quirinale viene oggi riconosciuto e anzi sollecitato proprio da una parte della maggioranza. L'ultima dichiarazione di Napolitano in favore di riforme «condivise» che siano espressione di un processo attuato «su basi autonomistiche e solidali, a miglior presidio dell'unità nazionale e degli equilibri costituzionali» è stata accolta quasi con giubilo dalla Lega. Si moltiplicano gli atti di omaggio al Capo dello Stato e alla sua saggezza: Calderoli, La Russa («è il migliore») e altri. La verità è che tutti hanno capito, Bossi forse prima degli altri, che occorre evitare di lacerare il paese. Serve un baricentro e solo il presidente della Repubblica può garantirlo con soddisfazione generale. Da un lato può aiutare il confronto con l'opposizione di centrosinistra (e anche con l'Udc, dopo che Casini si è detto pronto a discutere); dall'altro può fare in modo che il cammino verso il federalismo non produca squilibri tali da creare turbolenze e resistenze conservatrici.
È una responsabilità piuttosto gravosa, quella che è piombata sulle spalle di Napolitano. Ma potrà dividerla con il presidente della Camera, Fini, che in questo lavoro di riconciliazione ritrova un ruolo insieme politico e istituzionale. Nessuno può dire quanto sarà lunga la via delle riforme. E se sarà fruttuosa. Ma il buon senso per ora resiste. Anche davanti al rinvio della legge sull'arbitrato.

1 Aprile 2010
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