In un altro momento la decisione di Napolitano avrebbe suscitato qualche tensione. Non occorre molta memoria per ricordare gli screzi al limite della crisi istituzionale che hanno caratterizzato i rapporti tra governo e Quirinale nel corso della legislatura. Questa volta invece è tutto sereno. Il rinvio della legge sull'arbitrato è stato accolto con assoluto rispetto da parte del centrodestra. «Nulla da eccepire, è nei suoi poteri», ha commentato Maroni. E Sacconi si è affrettato a garantire che i rilievi del Capo dello Stato saranno accolti.
Come è noto, si tratta della prima legge restituita al Parlamento dal presidente della Repubblica. Una legge tutt'altro che "neutra", considerando le proteste che si erano sollevate nel merito presso la sinistra politica e il sindacato. Dunque l'eventuale rinvio, peraltro anticipato da indiscrezioni nei giorni scorsi, si prestava alle polemiche. Viceversa, ora che le elezioni sono passate e che il Quirinale ha comunicato la sua volontà, la maggioranza si è inchinata. Da parte sua l'opposizione ha naturalmente applaudito Napolitano, così che il presidente della Repubblica si trova nella felice circostanza di non essere criticato da nessuno. Il che non è poco, in tempi di bipolarismo esasperato.
È come se il risultato elettorale, con la sua notevole portata politica, avesse restituito intatto al Quirinale il ruolo di equilibrio che gli è proprio, ma che molti tendevano a non riconoscere più. C'è una ragione ed è che da lunedì sera l'Italia è entrata in una fase nuova. La questione delle riforme è di nuovo sul tavolo e c'è la sensazione che stavolta non potrà essere esorcizzata con qualche artificio retorico. Il voto ha fatto emergere la forza politica della Lega e lo slancio riformatore del partito di Bossi peserà sui prossimi passaggi della legislatura. Ma affrontare sul serio il tema del rinnovamento istituzionale, partendo come vogliono i leghisti dall'attuazione del federalismo (anche nei suoi aspetti fiscali), significa accettare una sfida molto complessa. È probabile che l'opinione pubblica non si renda ancora conto di quanto sia delicata.
Sta di fatto che il ruolo cruciale del Quirinale viene oggi riconosciuto e anzi sollecitato proprio da una parte della maggioranza. L'ultima dichiarazione di Napolitano in favore di riforme «condivise» che siano espressione di un processo attuato «su basi autonomistiche e solidali, a miglior presidio dell'unità nazionale e degli equilibri costituzionali» è stata accolta quasi con giubilo dalla Lega. Si moltiplicano gli atti di omaggio al Capo dello Stato e alla sua saggezza: Calderoli, La Russa («è il migliore») e altri. La verità è che tutti hanno capito, Bossi forse prima degli altri, che occorre evitare di lacerare il paese. Serve un baricentro e solo il presidente della Repubblica può garantirlo con soddisfazione generale. Da un lato può aiutare il confronto con l'opposizione di centrosinistra (e anche con l'Udc, dopo che Casini si è detto pronto a discutere); dall'altro può fare in modo che il cammino verso il federalismo non produca squilibri tali da creare turbolenze e resistenze conservatrici.
È una responsabilità piuttosto gravosa, quella che è piombata sulle spalle di Napolitano. Ma potrà dividerla con il presidente della Camera, Fini, che in questo lavoro di riconciliazione ritrova un ruolo insieme politico e istituzionale. Nessuno può dire quanto sarà lunga la via delle riforme. E se sarà fruttuosa. Ma il buon senso per ora resiste. Anche davanti al rinvio della legge sull'arbitrato.