A volte ritorna. Parliamo della «bozza Violante», tassello della Grande Riforma istituzionale di cui si discute da decenni. Di colpo, eccola riemergere come un sottomarino tedesco U-boot dagli abissi della dimenticanza politica, quasi fosse una novità a portata di mano.
È una di quelle riforme "condivise" che può essere approvata in pochi mesi, spiega il presidente della Camera Gianfranco Fini. Massimo D'Alema, già presidente della Commissione bicamerale, è d'accordo.
Il Pdl (con il ministro degli Esteri, Franco Frattini, e il presidente del Senato, Renato Schifani) apre la porta con il distinguo dell'esigenza di un «approfondimento». Luciano Violante, ex presidente della Commissione Affari costituzionali della Camera che nel 2007 varò il testo, afferma che ce la si può fare entro il 2010. E così, tra un tono basso e uno alto, nel bel mezzo di uno scontro sulla giustizia (processo breve, separazione delle carriere dei magistrati ecc.) tra i più duri che si ricordino, la "bozza" si ri-materializza e prende quota. Ma per atterrare dove?
Cominciamo col dire a cosa servirebbe. Grazie a una serie di innovazioni (tra cui il superamento del bicameralismo paritario indifferenziato Camera-Senato, la riduzione del numero di parlamentari, la creazione di una sorta di corsia preferenziale per il Governo) si vuole arrivare «a un regime parlamentare che non metta il Governo in balia del Parlamento, ma che dia forza all'esecutivo e al presidente del Consiglio» (così lo stesso Luciano Violante, in un'intervista apparsa su affaritaliani.it, il 26 novembre scorso).
Com'è arcinoto, la nostra Costituzione del 1948 sarà anche "sempreverde", ma non ha mai brillato per istituti che rendano più efficiente, e meno costoso, il regime parlamentare.
Bene, ma di questo si dibatte, amabilmente e no, da anni. Nel 2003 il Governo Berlusconi cominciò a proporre l'istituzione del Senato federale, il taglio dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200. La riforma costitizionale fu poi definitivamente approvata (a maggioranza) nel 2005 con numeri ritoccati all'insù (500 deputati e e 252 senatori) e fu duramente contrastata, per non dire demonizzata, dall'opposizione, forte dei giudizi della grandissima parte del mondo accademico e mediatico. Si parlò di riforma "mostriciattolo" e di disegno "eversivo" che dava tutti i poteri al premier. In pratica abbandonata al suo destino dagli stessi partiti del centrodestra, auto-imprigionatisi nel tunnel dei sondaggi politici negativi, il referendum popolare s'incaricò di bocciarla nel giugno 2006, poco dopo la vittoria (ma per un soffio) del centrosinistra alle elezioni.
Passato un solo mese, riparte il tentativo riformista. E nel 2007, dopo più di un anno di lavoro, ecco ad ottobre la "bozza Violante, proposta di legge approvata in Commissione con il "no" del Pdci e l'astensione di Forza Italia. La quale, in Aula, finisce però per votare contro la riduzione dei parlamentari (deputati a quota 512 e senatori a quota 184). Perché la risicatissima maggioranza che sorregge il Governo Prodi già mostra segni di cedimento e Berlusconi non intende offrire alcuna sponda. «Non è questa – dice – la legislatura buona per una riforma di questo tipo». Stop, la riforma torna nel cassetto.
Nel 2008 il centrodestra stravince le elezioni e si riparla di legislatura costituente. Per poco, però, e poi più nulla almeno fino a quando le tensioni interne alla maggioranza (in particolare con lo scontro Fini-Berlusconi) fanno riaffiorare le riforme "condivise". E da qui al ritorno sulla scena della "bozza Violante" il passo è brevissimo.
A ben vedere, più che di decolli e atterraggi, è una storia, questa, di brevi emersioni rapide e di lunghe immersioni profonde. E l'aspra battaglia in corso tutto fa presagire meno che una parata istituzionale bipartisan a cielo aperto.