Dicevano che fosse una cospirazione di Wall Street, l'effetto della speculazione perversa di hedge fund senza scrupoli, che la crisi della Grecia fosse solo un'invenzione del mondo finanziario. Oggi la triste realtà sembra emergere. La Grecia non soffre di una crisi di liquidità: è insolvente. Con un deficit di bilancio del 13,6% del Pil, un debito del 115% del Pil, e una crescita attesa che secondo le opinioni più ottimiste è del -2% e secondo quelle più realiste del -4%, la Grecia non ce la fa a pagare i suoi debiti. La stretta fiscale richiesta per ridurre il deficit avrà effetti negativi sulla crescita e quindi sul Pil, finendo per aumentare il peso del debito sul Pil, invece che ridurlo. Senza contare la protesta sociale che sta causando.
L'assistenza richiesta ai partner europei non è un temporaneo sostegno finanziario, ma un aiuto a fondo perduto. Se il 67% dei tedeschi è contrario all'aiuto alla Grecia non è per egoismo. È una posizione sacrosanta di chi capisce che l'aiuto non è ai greci, ma alle banche e assicurazioni francesi e tedesche, esposte con la Grecia per 78 miliardi. Una delle regole fondamentali del mercato è che chi gode dei guadagni debba assumersi anche le perdite. I risparmiatori italiani hanno imparato a loro spese la lezione che titoli di stato ad alto rendimento sono rischiosi.
Quando l'Argentina fece default persero una percentuale rilevante del loro investimento, e non furono indennizzati da alcun soccorso statale. Perché le banche devono essere trattate in maniera diversa?
Mi si dirà che il soccorso è inevitabile; che senza un "bailout" l'Europa precipiterà in una crisi finanziaria profonda, con effetti devastanti sull'economia. È vero che se la Grecia dichiarerà default come ha fatto l'Argentina questo avrebbe effetti devastanti e quindi va evitato. Ma la scelta non è tra un soccorso incondizionato e l'abbandono. Esiste una terza via. Una via che elimina gli effetti devastanti di un default, ma non regala i soldi dei contribuenti alle banche.
La prima regola di questo piano alternativo è un allungamento della maturità del debito greco, spostandone di almeno tre anni la scadenza. Questo consolidamento è di fatto un parziale default, che ridurrebbe il valore del debito di circa il 15-20 per cento. Ha l'effetto di dare alla Grecia il tempo di ristrutturarsi, forzando al tempo stesso i creditori attuali ad assorbire una perdita, invece che trasferirla ai contribuenti.
Senza l'obbligo a breve di fare fronte al debito in scadenza, la Grecia ha bisogno di circa 25 miliardi di euro per finanziare il deficit del 2010. Queste risorse potrebbero essere fornite dal Fondo monetario internazionale con un prestito. Affinché non si tramuti in un sussidio indiretto alle banche internazionali, questo prestito dovrebbe avere priorità nella restituzione rispetto a tutti i debiti esistenti. In aggiunta, come tutti i prestiti dell'Fmi, anche questo dovrebbe essere condizionato a una rigida manovra fiscale, che possibilmente minimizzi gli effetti negativi sull'economia. Ad esempio, un'imposta sulla proprietà immobiliare, difficile da evadere, potrebbe essere una buona nuova fonte di entrate.
Il rischio maggiore di questa manovra sarebbe per le banche greche. Il parziale consolidamento avrebbe un immediato effetto sul valore dei titoli pubblici greci con un impatto immediato sul patrimonio bancario. Mentre le banche francesi e tedesche dovrebbero essere in grado di assorbire il colpo, quelle greche, che secondo uno studio di Barclays detengono 42 miliardi di euro, rischierebbero l'insolvenza. Anche in questo caso, la soluzione non sarebbe un bailout incondizionato, ma un sostegno selettivo. Se le banche greche sono a rischio, l'Fmi potrebbe prenderne controllo, garantendone i depositi e i debiti interbancari, ma spazzando via gli azionisti e, se le perdite lo richiedono, anche gli obbligazionisti. Si tratterebbe di una nazionalizzazione, ma non operata dal governo greco, con i rischi di corruzione e influenza politica che questo comporterebbe, ma da parte dell'Fmi, che si impegnerebbe a riprivatizzare quanto prima, recuperando con questo i possibili costi dell'intervento. L'esborso in caso di intervento non dovrebbe superare i 10 miliardi di euro.
Condizionatamente al raggiungimento degli obiettivi prefissati, il Fondo potrebbe promettere altri 5-10 miliardi di euro per finanziare il debito del 2011, che nel frattempo dovrebbe ridursi al di sotto del 5% del Pil. Questo consentirebbe alla Grecia di raggiungere l'obiettivo di un deficit del 3% nel 2012, che le permetterebbe di riaccedere ai mercati, rifinanziando il debito che agli inizi del 2013 comincerebbe a venire a scadenza.
Si tratta di un piano equo, che penalizza giustamente la Grecia, ma anche i creditori che le hanno concesso credito troppo facilmente. Un piano che protegge l'interesse dei contribuenti. Un piano che non sarà mai non solo attuato, ma tantomeno discusso perché a Francoforte e Parigi, come a Washington nel 2008, i voti non si contano, ma si pesano.
Luigi Zingales
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