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Atlante è in rivolta, Atlantino in pantofole

di Gianni Riotta

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1 novembre 2009

La voce più letta in queste ore sul poderoso sito del New York Times è dedicata alla «Vendetta di Ayn Rand» (link su twitter @riotta). Il nome di Ayn Rand, scrittrice e polemista americana di origine russa scomparsa nel 1982, non è notissimo nel nostro paese ma il suo revival, milioni di copie vendute, siti internet dedicati a lei, un film in preparazione dal monumentale romanzo «Atlas shrugged», La rivolta di Atlante (tradotto in tre tomi da Corbaccio), è indice acuto dei tempi che viviamo.

La vita della Rand - «martire ed eroina del capitalismo» scherza The Economist - è riassunta in due brillanti saggi appena pubblicati, «Ayn Rand and the world she made» di Anne Teller e «Goddess of the Market» di Jennifer Burns. Nata in Russia nel 1905 come Alisa Rosenbaum, la Rand visse gli anni orribili della rivoluzione, deportazioni, carestia, processi politici e, una volta arrivata negli Usa, con un nome nuovo sul passaporto, decise di dedicarsi, con i film di Hollywood, i romanzi (celebre anche «La fonte meravigliosa»), i pamphlets polemici e la battaglia delle idee alla promozione dei valori di individualismo, libertà politica, sociale ed economica.

«La rivolta di Atlante» è la storia fantastica dello sciopero dei ceti produttivi contro i burocrati e lo stato accentratore, metà apologo di Menenio Agrippa, metà marcia dei 40mila alla Fiat, e culmina nel discorso fiume dell'eroe John Galt contro gli orrori di un mondo sovietizzato. Galt si batte a favore del benessere e dello sviluppo, mercato e democrazia, «Vi abbiamo sempre garantito tutto quel che ci chiedevate, siamo sempre stati noi a contribuire, ma finora non l'abbiamo mai compreso... non abbiamo rivendicazioni per voi, né contratti da firmare o compromessi da discutere. Non abbiamo nulla da offrirvi perché non ci servite».

Al ritorno del fascino della Rand, nelle foto ritratta con un lungo bocchino e i capelli a caschetto alla Louise Brooks, contribuisce la vita eccentrica, imponeva al marito un campanello sulle scarpe per sentirlo arrivare in tempo, e al giovane amante e discepolo Branden scelse di persona la fidanzata, senza smettere di incontrarlo sessualmente, «È razionale così» spiegava gelida.
Non bastano gli aneddoti bizzarri a spiegare perché nell'America egualitaria e postrazziale di Obama, con lo stato a garantire l'economia con la siringa da 800 miliardi di dollari di stimolo, i bonus dei banchieri centellinati da uno «zar» (la povera Ayn sarebbe inorridita al vocabolo scelto dalla Casa Bianca per i suoi commissari) e l'arrivo di una riforma sanitaria in socialdemocratico stile europeo, la discepola di Nietzsche (il solo filosofo che sentiva pari) torni alla ribalta. I suoi motti vengono esibiti sui poster in scherno al giovane presidente e Atlante e John Galt dominano i siti conservatori contro Obama «il sovietico».

È forse il primo, ancora segreto, fallimento del presidente Obama. Come documenta alla perfezione Maurizio Molinari nel saggio «Il paese di Obama», la Casa Bianca democratica sognava una nuova narrativa politica Usa, capace di cancellare l'acre risentimento ideologico Destra-Sinistra del XX secolo. La crisi finanziaria ha persuaso il ceto medio bianco a credere alla parabola di Obama, ma subito la realtà ne ha messo alla prova la politica. Non ritorneremo alla dialettica dello scorso secolo tra conservatori e progressisti: questa è illusione che permane solo in pochi, vetusti, circoli europei e che, se non esorcizzata condannerà le sinistre del vecchio continente a una generazione di sconfitte (se ne ricordi al debutto da segretario, onorevole Bersani!).

No: il mondo del XXI secolo, compresi i paesi nuovi, Cina, India, Brasile, è un mondo in cui ciascun individuo si sente, in proprio, parte di una rete, partendo dalla propria persona singola, passando alla famiglia, comunità e paese, tutti connessi dalla rete predicata da Manuel Castells. E, anche se i seguaci di Ayn Rand la invocano oggi contro Obama, parte della seduzione del presidente è giusto nel suo personale percorso da Atlante in rivolta, nero e senza padre che - da solo e con cervello, cuore, passione e lavoro - arriva a Washington. Barack Obama si sente insultare dai lettori di John Galt ma è lui stesso, a suo modo, libero e intraprendente John Galt!
Il ritorno della Rand e il difficile cammino di Obama nel 2010 ci indicano in filigrana le prime idee nuove del XXI secolo. In economia, in politica, nella società e nelle nostre privatissime scelte ci sentiamo individui, e non tolleriamo ingerenze e stati ficcanaso. Il mondo globale ci richiede però cittadinanza in una comunità solidale, dallo sviluppo equilibrato nell'ambiente a una capacità di arricchire insieme e dare titolo di ricchezza anche ai più poveri, come ha dettagliato al Congresso dei notai italiani il grande De Soto.

I dati americani economici sono in movimento, anche se la spinta viene dalla rottamazione delle auto e, come ricorda Mario Deaglio, anche lo scorso anno le prime settimane d'autunno videro salire i consumi per poi fermarsi prima di Natale. Poco o nulla si vede ancora sull'occupazione. Ma l'America cammina e camminerà e già sta, tra gli appassionati dibattiti dei fan di Ayn contro i seguaci di Barack, marcando idee nuove.

  CONTINUA ...»

1 novembre 2009
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