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NO COMMENT / Generali in marcia verso l'autonomia

di Fabio Tamburini

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10 aprile 2010

Il modello ha preso forma negli anni 50 e ha rappresentato uno dei pilastri su cui è stata costruita la Mediobanca di Enrico Cuccia, molto attenta agli equilibri societari delle principali compagnie di assicurazione. Il banchiere aveva capito che gruppi come Generali e Fondiaria erano formidabili accumulatori di capitale, pronto per essere investito nella rete di partecipazioni destinata a cementare i rapporti di mutua assistenza tra i protagonisti del capitalismo italiano. L'acquisto di partecipazioni importanti contribuiva in misura significativa a garantire la stabilità degli assetti di comando, permettendo a Mediobanca di trasformarsi nel garante del sistema perché sia in Fondiaria sia in Generali era diventata, più o meno direttamente, l'azionista di riferimento, decisivo per le nomine dei vertici.

L'altra faccia della medaglia è stata l'accusa a Cuccia di subordinare gli interessi delle società assicurative a quelli di Mediobanca, creando le condizioni per conflitti ricorrenti quando presidenti e amministratori delegati delle compagnie cercavano di sottrarsi alla sua tutela. Gli esempi sono numerosi, dal presidente storico delle Generali, Cesare Merzagora, all'allievo Alfonso Desiata.

Prima Camillo De Benedetti e successivamente Raul Gardini hanno spezzato il cordone ombelicale che legava Mediobanca a Fondiaria, che poi è finita alla Sai di Salvatore Ligresti. Generali, al contrario, è rimasta la partecipazione chiave di Mediobanca, cresciuta fino a sfiorare il 15% (attualmente risulta intorno al 14,7%). Emblematico è il meccanismo di presentazione della lista dei consiglieri di amministrazione in assemblea, gestito da Mediobanca in assoluta autonomia.

Nei giorni scorsi l'attenzione delle cronache è stata sulle nomine, a partire dal passaggio del presidente Cesare Geronzi da Mediobanca a Generali. Il problema vero, tuttavia, è un altro: il rapporto tra le due società resterà quello attuale? Oppure è destinato a cambiare? E, nel caso, quale soluzione verrà trovata? Di sicuro il modello Cuccia ha rappresentato per Mediobanca una soluzione ideale ma tutta italiana. E nel frattempo è cambiato il mondo. Non solo. Le banche d'affari, per definizione, fanno le banche d'affari e non le holding di partecipazioni. Senza contare che la quota in Generali ha rilievo tale da sbilanciare l'intero assetto dell'istituto. La logica dei patti di reciproca assistenza, inoltre, è stata messa in discussione dalle nuove regole sui conflitti d'interesse e sulle parti correlate. In più nella compagina azionaria delle Generali hanno trovato spazio nuovi soci con pacchetti rotondi, in molti casi superiori al 2%: da Caltagirone ai De Agostini, dalla cordata Crt Torino e azionisti veneti alla famiglia Del Vecchio.
Ecco perché l'evoluzione più naturale non è tanto la fusione Mediobanca-Generali, di cui molto è stato scritto, ma una separazione progressiva delle due realtà. A quel punto Mediobanca vedrà diluita in misura significativa la presenza in Generali, ridurrà il peso dei conflitti d'interesse, libererà capitale prezioso per iniziative di sviluppo, potrà concentrare gli sforzi nell'attività di banca d'affari. Contemporaneamente nella compagnia triestina aumenterà l'influenza degli altri azionisti di maggior peso. Senza contare che un'acquisizione importante conclusa dalla compagnia sui mercati esteri renderà ancora più rapido il ridimensionamento della partecipazione di Mediobanca. Con la possibilità, che farebbe felici i francesi, che torni attuale la grande alleanza con Axa.

10 aprile 2010
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