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Troppe tasse tra libertà e benessere

di Alberto Orioli

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10 aprile 2010

Tra la libertà e il benessere c'è di mezzo la riforma fiscale. Si gioca sulle tasse il cambio di scena per l'atto secondo della crisi economica. Nella prima parte governo e parti sociali si sono impegnati a parare i colpi della grande recessione indotta dalla finanza. E in Italia il copione è risultato particolarmente felice, recitato con più successo di altri e con meno costi, soprattutto grazie a un'intelligente amministrazione degli ammortizzatori sociali (che però attende di essere sistematizzata in una vera riforma organizzata). Ma ora il paese – a maggior ragione se deve raggiungere i due traguardi di libertà e benessere che pone il convegno della Confindustria a Parma – deve cercare una terapia per crescere. Fondi pubblici ce ne sono pochi, visto l'alto debito (e «il debito divora il futuro», come ha detto ieri Giulio Tremonti): restano il risparmio privato e i margini, cospicui, di aumento dell'efficienza nell'allocazione e nel reperimento delle risorse, a cominciare da quelle tributarie.
Il Libro bianco sulla riforma delle tasse sarà un'occasione rilevante per rimodulare il patto fiscale tra governo e ceti produttivi, tra stato e governi locali, tra mondo del lavoro dipendente e mondo dell'impiego autonomo. Sarà anche importante cogliere il senso di quel passo indietro invocato ieri per consentire di realizzare al meglio la riforma fiscale senza liti e senza scontri, pensando soprattutto all'unità del paese.

Il resto lo farà l'agenda suggerita a Parma dal mondo dell'impresa, preoccupata di un'Italia il cui Pil pro capite dal 2000 al 2009 è arretrato del 4,1%, dato che, senza misure di reazione appropriate, rischia di restare molto a lungo ben al di sotto della media Ue. Né basterà solo il "quarto capitalismo" – protagonista dell'appuntamento confindustriale –, fatto dai campioni della media industria italiana che si battono nel mondo con successo contro ogni recessione, a garantire il futuro all'Italia di domani.

Servono tagli alla spesa pubblica improduttiva, infrastrutture materiali e immateriali, l'abbattimento dei monopoli superstiti per ridurne costi e parassitismi, l'aumento della caratura dell'istruzione, gli investimenti in ricerca e sviluppo. Solo così la crisi, finora solo finanziaria, non diventerà anche crisi sociale nella seconda parte dell'anno, quando il contraccolpo sull'occupazione sarà più violento.

Il federalismo, asso nella manica del governo per il prossimo triennio di "pace elettorale" potrà diventare parte della soluzione del problema fiscale. Nel passaggio dalle imposte personali dell'idealismo a quelle prosaiche più adatte al consumismo non si potrà dimenticare la rimodulazione della spesa sanitaria, unica via per ridurre l'Irap, l'imposta odiosa tanto alle imprese quanto al sindacato perché colpisce sciaguratamente il costo del lavoro. Del resto, si deve correggere «un sistema dove oggi i poveri delle regioni ricche pagano per i ricchi (e ladri) delle regioni povere» (copyright di Tremonti).

Ieri, visto dagli schermi dei 5mila palmari degli imprenditori che hanno affollato la kermesse parmense, il rosario della giornata politica di Roma deve essere sembrato distante, di una incommensurabile lontananza non tanto fisica quanto di sensibilità. Si è parlato per lo più del presidenzialismo o del semipresidenzialismo alla francese, di doppio turno, con corredi di leggi elettorali o meno. Insomma, a un mondo che chiede concretezza per risolvere i problemi del lavoro, della produttività, della formazione, della burocrazia pubblica, sentire i bizantinismi (importanti per l'assetto istituzionale di un paese, ma in questa fase un lusso, viste le priorità di un'Italia che rischia il declino economico) deve essere parso un po' lunare.

Tremonti ha promesso che «la riforma fiscale, vera riforma delle riforme, non sarà platonica, ma ad alta intensità politica». E in un paese dove il reddito fiscale medio è 18mila euro l'anno e solo l'1% dei contribuenti paga altre 100mila euro non c'è posto per Platone.

10 aprile 2010
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