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OLTRE LA CRISI / Cresce? È l'America, bellezza

di Marco Valsania

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10 aprile 2010


Oltre mezzo miliardo di dollari spesi in sussidi di disoccupazione, altrettanto offerti ai distretti scolastici e 342 milioni per servizi sanitari. Altre centinaia di milioni per un ventaglio di progetti infrastrutturali, da strade a edifici. In tutto 1,5 miliardi investiti per aiutare la ripresa in un angolo d'America, il Wisconsin. Investiti a tempo di record, in soli quattro mesi, perché il piano nazionale di stimolo economico da quasi 800 miliardi voluto dall'amministrazione di Barack Obama era stato approvato dal Congresso all'inizio del 2009 e l'anno fiscale dello stato, per inserire senza indugi le nuove voci di spesa, si chiudeva a giugno.
Il riscontro sui fondi e il loro utilizzo è giunto da un'authority locale di controllo, il Legislative audit bureau. E il Wisconsin, visti i primi successi, aspetta con ansia altri 3 miliardi dal pacchetto federale, tra cui 810 milioni per una linea ferroviaria ad alta velocità, che dovrebbe creare centinaia di posti di lavoro.
Lo stato del Midwest è un microcosmo degli sforzi per rilanciare l'intera economia americana. Sforzi che hanno dato frutti d'insperata efficacia: le polemiche non sono mancate, dai repubblicani che lamentavano sprechi e «big government» alle correnti democratiche più progressiste che chiedevano maggior spesa sociale. Ma Washington ha saputo evitare la paralisi e affidarsi a un'offensiva capitanata dalla Casa Bianca e della Federal Reserve, che a base d'interventi fiscali, politica monetaria e sostegno ai mercati ha sottratto il paese alla minaccia di tracolli del sistema finanziario e d'una nuova Grande Depressione.
Se le sfide non sono finite, il "maggiorottimismo" sta ora mettendo radici: la recessione ha lasciato il passo a una crescita del 5,6% nel quarto trimestre dell'anno scorso, che su base annua potrebbe attestarsi sul 3 per cento. Nuova fiducia, nei sondaggi, esprimono gli amministratori delegati riuniti nell'associazione Business Roundtable. In Borsa l'indice Standard & Poor's 500 vanta un'impennata del 75% dagli abissi recessivi, nel marzo del 2009. Il manifatturiero ha inanellato ormai otto mesi consecutivi di espansione. E anche il grande malato - il mercato del lavoro che ha perso 8,5 milioni di posti e continua a pesare sulla popolarità della Casa Bianca nell'opinione pubblica - si è scosso: ha potuto contare su 162mila nuovi occupati, sebbene in parte arruolati unicamente per il censimento.
Dati sufficienti a invitare lo stesso Obama e i suoi più stretti collaboratori a parlare, con qualche cautela, di svolta. Peter Orszag, guru del budget, ha schematizzato la ripresa in atto in tre fasi: corsa delle produttività, già avvenuta riducendo i costi, boom di ore lavorate e impiego temporaneo, nuove assunzioni. L'America, ha detto, sta entrando nella terza fase. Di sicuro, i passi di questa riscossa trovano eco: fuori dai confini americani l'Ocse ha ammesso che gli Stati Uniti hanno ingranato una marcia in più nell'uscita dalla crisi quando paragonati all'area euro, dove ancora si discute se e quale piano adottare contro il rischio default greco.
A Washington invece si discute sulla necessità di aprire una nuova pagina politica. Il consulente democratico Bob Shrum invoca un parallelo storico per il presidente: quello con il repubblicano Ronald Reagan, per capacità di spingere il paese sui binari d'una "profonda trasformazione", piuttosto che con Jimmy Carter, il paragone preferito dai critici nei momenti più bui di Obama. Obama come Reagan, al di là delle differenze ideologiche, avrebbe agito con una ricetta: obiettivi "su grande scala" per il paese, combinati con il pragmatismo essenziale per ottenere risultati.
Martin Baily, ex consigliere di Bill Clinton, preferisce un parallelo più fedele al partito, ma ugualmente ispirato anzitutto alla capacità di agire: vede continuità tra la Obamanomics e la Rubinomics, la gestione economica del Ministro del Tesoro degli anni 90. Almeno con l'abilità di Robert Rubin di combattere crisi (allora quelle del Messico e dell'Asia) e con il riconoscimento, al di là d0interventi pubblici, del ruolo centrale di mercati e settore privato.
La Obamanomics, come agenda ambiziosa e pragmatica allo stesso tempo, ha convertito anche scettici della prima ora. «Ritengo che ormai siamo avviati sulla strada di una ripresa sostenibile – dice Peter Kretzmer di Bank of America –, anche l'occupazione comincia a migliorare. Credo che la politica monetaria della Federal Reserve e la sua mobilitazione anti-crisi siano state fondamentali. E credo che grande merito vada dunque riconosciuto al governatore della Banca centrale Ben Bernanke e alle iniziative per restituire stabilità al sistema finanziario e ai mercati di capitali, compresi i necessari, pur se impopolari, salvataggi delle banche. Ma, anche se non sono un tifoso della spesa, credo che lo stimolo fiscale abbia a sua volta giocato un ruolo costruttivo. Anzi, l'impatto delle politiche adottate, nell'insieme, mi ha sorpreso».
Eric Maskin, Nobel per l'Economia nel 2007, spezza a sua volta una lancia a favore delle capacità di rilancio americane. Sottolineando come dopo soccorsi e stimoli si sia ormai messo in moto il motore essenziale della ripresa, il settore privato. «È stata una severa recessione e soffriremo di fragilità e elevata disoccupazione per qualche tempo. Abbiamo però superato altre gravi crisi. Gli Usa si trovano ancora in vantaggio quando si tratta di promuovere idee d'innovazione e di hi-tech».

10 aprile 2010
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