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Il carattere di parte del nuovo governo, rispetto alla Grande coalizione, è per ora molto forte, dimostra una maggiore attenzione alle imprese rispetto ai lavoratori e una filosofia fiscale che sposta una parte seppur marginale della contribuzione sociale sulla fiscalità fissa e su una maggiore competizione tra fornitori dei servizi pubblici. Un carattere che si esprime inoltre sia in termini di liberalizzazioni mirate, che colpiscono soprattutto il lavoro e i servizi pubblici, ma ha anche una fisionomia protezionista che si esprime in modo più rozzo nell'esenzione dalla deregolazione delle farmacie e dei servizi medici e in modo più sistematico nella riforma della tassazione d'impresa che, sebbene mirata a ridurre il carico complessivo ed eliminare alcuni disincentivi per gli investitori stranieri, punta anche a mettere al riparo il capitale tedesco dalla competizione internazionale favorendone la permanenza nel paese.
Nel complesso, i numeri della riforma sono limitati e i suoi risultati saranno contraddittori, mentre i cambiamenti di filosofia sono rilevanti. E ciò in fondo corrisponde con poche eccezioni al principio tradizionale delle riforme tedesche che l'ex cancelliere Helmut Kohl esemplificava con la necessità di manovrare la politica con la stessa silenziosa cautela con cui si guidano le grandi chiatte che solcano il Reno: svolte impercettibili con grandi conseguenze a lunga scadenza. Ma oggi, tra crisi globali e nuovi imperi asiatici, possiamo davvero guadagnare l'approdo del lungo periodo guardando la bussola dei partiti locali?