Un monumento per i caduti di pace? Tra gli architetti c'è una scuola di pensiero che dice «un altro monumento non serve». Non perché la pace e l'azione italiana per la pace non meritino di essere commemorate e rappresentate. Quell'idea, piuttosto, si può rappresentare in forma leggera, con la luce e con il segno più che con la pietra o gli obelischi. «Un'azione radicale dell'architettura si può svolgere in Italia senza costruire», dice Mosè Ricci, architetto romano che con il suo studio Ricci & Spaini propone piuttosto un'installazione luminosa proprio all'Altare della Patria, ogni volta che si voglia ricordare la nostra azione per la pace. Ricci ricorda i tempi - erano gli anni 70 e 80 - in cui l'Altare della Patria veniva messo in discussione come simbolo delle Forze armate ma anche come oggetto urbanisticamente pesante e fuori contesto. Fu Bruno Zevi, maestro della generazione dei 50enni, a definirlo «una macchina da scrivere».

«Oggi - dice Ricci - vediamo tutti i limiti di quel monumento, ma ne osserviamo anche i punti di forza, come la strepitosa posizione tra le bellezze della Roma archeologica e di quella barocca che gli consente di essere visto da qualunque parte del centro storico». Perché non offrire la possibilità al monumento di esprimere tutte le sue qualità? Si potrebbe «finalmente dare la parola alla macchina da scrivere e permetterle di scrivere e mostrare volti diversi da quello abituale». Un'installazione luminosa, parole per commemorare la pace. Ricci e Spaini legittimano la proposta richiamando Valerio Magrelli, «un poeta e un amico», che nel 2006, con la poesia «La guace» narrò la «confusa mescolanza di guerra e pace caratteristica della nostra epoca».

Alla stessa scuola di pensiero si iscrive il bolognese Mario Cucinella, 49 anni, uno degli architetti italiani più noti nel mondo con i suoi edifici ecologici (in questi giorni presenta a Copenhagen il manifesto di architettura sostenibile all'evento Culture/Futures).
«Più che un luogo da contemplare - spiega -, la pace e l'azione di pace dei caduti sono un messaggio da veicolare: è una parola che deve entrare nella nostra vita quotidiana e non essere fissata in un monumento».
La parola pace deve essere usata tutti i giorni. «Scriviamola su tutti gli edifici pubblici», propone. Sulle targhe delle strade, agli angoli degli edifici, con scritte e segni lasciati all'elaborazione degli artisti. «Lontano da glamour o da edifici simbolici - dice Cucinella - bisognerebbe lasciare agli angoli delle strade di tutto il paese scritte come "Pace, Alfio Ragazzi, Nassiriya" e poi "Pace, Domenico Intravaia, Nassiriya", ma forse anche "Pace, Walter Tobagi, Milano"».

Il memoriale come un grande manifesto: non solo con le costruzioni ma anche con le parole gli architetti riempiono di significato quello che già c'è nelle città. «L'Altare della Patria - dice Ricci - potrebbe tornare a gridare ancora, esprimendo con forza il tema dell'identità».
Lontano da Roma e dalle zone ad alta densità monumentale anche la proposta del torinese Antonio Besso-Marcheis, 50 anni, che pensa di collocare il suo memoriale «sull'accqua, in un punto imprecisato delle nostre coste bagnate dal Mediterraneo».
Anche qui non c'è pietra, ma «alti steli, cavi all'interno e infissi nell'acqua e nel fondale sottostante, a forma di canne d'organo inflesse e ritorte, come sagomate dal vento». Gli steli sono attraversati da molteplici cilindri in acciaio, disposti in orizzontale secondo svariati angoli di inclinazione, attraversati dal vento che modula differenti suoni intrecciati con il rumore del mare.

Architetti più giovani, come i quarantenni milanesi Andrea Boschetti e Alberto Francini, soci dello studio Metrogramma, puntano su un monumento più tradizionale anche se condividono la linea di un memoriale «come luogo quotidiano e di passaggio». Un muro contro il quale si potrà idealmente sbattere. Una lapide luminosa, un grande monolite in pietra blu notte, larga cinque metri e alta nove, punteggiato da sei led luminosi e brillanti che riproducono la costellazione della notte del 17 settembre 2009, giorno dell'attentato di Kabul. «Sei luci vive con cui parlare, piangere e amare. Una nuova costellazione come monumento per sempre», dicono gli architetti.

«La nostra prima idea per un memoriale per le vittime per la pace – spiega Francini – era un'architettura itinerante, che potesse trovare posto in varie città italiane, a partire dai paesi d'origine dei soldati caduti. Questo primo concept è stato sviluppato e proponiamo di realizzare a Roma un monumento, con una forza istituzionale, che attraverso le stelle riesca a fissare un momento storico e politico preciso». Metrogramma ha trasferito in un elemento solido, una lastra di pietra scura, i temi del lutto, del vuoto, dell'assenza, ma anche la luce delle anime dei caduti. «Un cielo di pietra stellata, il cielo del mondo di quella triste notte di dolore, sei stelle che brillano nell'infinito».